PER MEDITARE
Da un Ritiro spirituale
alle suore della P.O.R.A.
11 novembre
2002
Parlare della “nostra” vita di preghiera significa parlare anzitutto della
nostra identità. La preghiera, infatti, ha caratteristiche comuni in ogni forma
e stato di vita cristiana. Però ha anche alcuni elementi tipici, espressivi di
una particolare forma della sequela del Signore. In questo senso è giusto
parlare della “nostra” vita di preghiera: questa è “nostra” perché si radica
nella nostra identità di persone consacrate. E, dunque, avrà delle
caratteristiche tipiche: caratteristiche che scaturiscono, appunto, dalla nostra
identità consacrata.
Proviamo a esprimere quanto fin qui affermato, con l’aiuto di due santi.
Entrambi ci parlano della preghiera. Ma ce ne parlano in modo diverso. La
lettura dei due seguenti brani ci mette di fronte a questa diversità.
Il primo brano è di San Francesco di Sales: “La preghiera è un contatto
di persone, un guardarsi nascosto, segreto. Un conversare segreto da cuore a
cuore, con una comunicazione che non può essere partecipata se non da coloro che
la fanno”.
Ascoltiamo, ora, il secondo brano. “Essere sposa – scriveva
Elisabetta della Trinità – è avere gli occhi nei suoi occhi, il pensiero
dominato da lui, il cuore completamente preso, tutto invaso, come se vivesse al
di fuori di sé e fosse passato in Lui, l’anima nella sua anima, piena della sua
preghiera, tutto l’essere impregnato e offerto. E’ fissarlo sempre con lo
sguardo per sorprendere il Suo minimo cenno e il Suo minimo desiderio. E’
entrare in tutta la Sua gioia, condividere tutta la Sua tristezza. E’ essere
feconda, essere corredentrice, generare le anime alla grazia…”.
Risulta chiara la
differenza. Mentre la prima affermazione riguardo alla preghiera si addice a
ogni cristiano, la seconda si addice in modo del tutto particolare a quei
cristiani che sono stati chiamati a seguire Cristo più da vicino. Questa,
allora, è la tipicità della preghiera che sgorga dal cuore della persona
consacrata: Cristo deve bastare! La preghiera della persona consacrata dice e
grida la totalità di un cuore che è solo ed esclusivamente di Dio.
Alla luce di quanto
abbiamo finora affermato – e cioè che la preghiera è “nostra” perché è
espressione di una particolare identità – dobbiamo dire qualche cosa circa la
nostra identità. Ecco i tratti qualificanti, tratti a cui sempre ritornare
per ritrovare anche lo stile e i contenuti della propria preghiera.
La religiosa della PORA, come ogni altra religiosa, è chiamata a
seguire Cristo più da vicino nel segno della sponsalità. Questa sequela nel
segno della sponsalità si rivolge a Gesù in quanto povero, casto e obbediente:
la religiosa, di conseguenza, vive la sponsalità di amore con Gesù, il vero e
perfetto religioso, il vero e perfetto povero, casto e obbediente. Gli elementi
qui indicati non sono ancora sufficienti a esprimere compiutamente l’identità
della religiosa. Perché la religiosa è chiamata a vivere tutto questo nella
forma della vita fraterna in comune. E per finire un ultimo elemento, tipico del
carisma della PORA. L’elemento del servizio integrale ai sacerdoti. Parlo, non a
caso, di servizio integrale. In quanto ciò di cui hanno bisogno i sacerdoti, ciò
a cui le religiose della PORA sono chiamate a rispondere, non è solo la
necessità di ordine materiale e fisico, ma anche la necessità di ordine morale e
spirituale e, perché no, anche di ordine apostolico e pastorale. Sarebbe
riduttivo pensare il servizio ai sacerdoti diversamente rispetto a questa
integralità.
La nostra preghiera
Se quella appena descritta è la nostra identità di persone
consacrate nella vita religiosa e secondo il carisma tipico della PORA, quale
deve e essere la nostra preghiera? Vediamone i tratti fondamentali.
La
nostra è una preghiera che esprime l’unità del cuore intorno all’unico amore
di Cristo. Lo abbiamo già inteso, ascoltando la pagina di suor Elisabetta
della Trinità: la preghiera della religiosa è una preghiera che afferma, con la
parola e con lo stile, che il cuore della persona è tutto e solo del Signore. In
questo senso si pongono tre grandi questioni.
Anzitutto la questione del tempo. Quando accampiamo il motivo della
mancanza di tempo per giustificare la poca preghiera o, peggio, l’assenza della
preghiera dalle nostre giornate, in verità diciamo una cosa non vera. La
mancanza di tempo, in realtà, ci pone di fronte a qualcosa di più profondo:
perché dove manca il tempo manca l’amore. E’ pensabile che due persone che si
vogliono bene e che si amano non trovino il tempo per ritrovarsi, vedersi
parlarsi? Lasceranno altre cose, ma il tempo dell’jncontro lo troveranno sempre.
Così il tempo che diamo al Signore nella preghiera, la quantità del tempo che
diamo alla preghiera altro non è che l’espressione di un cuore che è tutto di
Dio. Allora non è possibile che il tempo da noi dedicato alla preghiera sia
uguale o inferiore a quello che gli altri cristiani dedicano alla preghiera.
Dove sarebbe la specificità di una preghiera che esprime la passione di un cuore
tutto di Dio?
Una seconda
questione è quella dell’intensità. Abbiamo parlato della quantità del
pregare. Ma c’è anche una qualità del pregare che distingue la persona
consacrata. Per qualità intendo lo stile di una preghiera nella quale scende in
campo tutta la persona con le componenti che la rendono tale: l’intelligenza, la
volontà, il cuore, i sentimenti, gli affetti, le emozioni…Nulla di ciò che siamo
come persone, nulla di ciò che siete come donne, può rimanere fuori dalla
preghiera. Guai se questa fosse solo questione di intelligenza. Ma guai anche se
la preghiera fosse solo questione di cuore e di emotività. La preghiera della
persona consacrata deve essere espressione di tutte le componenti che animano la
personalità.
Un’ultima questione è quella del primato. A livello teorico ne
siamo convinti, ma spesso nella pratica smentiamo quanto affermiamo con le
parole. Credo che si debba operare una difesa “orgogliosa” della propria
preghiera nell’arco della giornata. Ci dobbiamo ribellare al fatto che impegni,
opere, necessità più o meno urgenti ci strappino alla preghiera. Ci dobbiamo
ribellare, perché questo significa essere depauperati della dimensione sponsale
della propria vita. Ma se viene meno questa, non veniamo meno noi stessi e il
senso della nostra vita? Primato, dunque, significa anche difendere con tutte le
forze lo spazio di Dio nell’arco della giornata. Lo ripeto: significa difenderlo
con orgoglio, perché è lo spazio con il quale affermo la mia
sponsalità.
La nostra è una preghiera che trova espressione qualificata nella coralità.
Quando parliamo di coralità intendiamo quella forma di preghiera nella quale si
mostra la dimensione comunitaria della vita religiosa. Si fa vita fraterna,
infatti, non solo nel vivere insieme e nell’operare insieme, ma anche nel
pregare insieme.
E’ chiaro che il
momento più qualificante della coralità orante è la preghiera liturgica.
Da non considerare come un peso, né come un dovere da assolvere, né come un
impegno cui sottrarsi se possibile. Ma da considerare come momento qualificante
il mio essere religiosa e il mio pregare da religiosa. In altre parole, la
preghiera liturgica manifesta ciò che si è. Mi attardo solo un momento su un
aspetto particolare della preghiera comune liturgica. Penso allo stile che
ciascuno di noi pretende di imporre agli altri quando prega. Questo non soltanto
rende meno corale la preghiera da un punto di vista estetico. Quel che più conta
è che questo atteggiamento contraddice esattamente lo stile comune e fraterno
della preghiera fatta insieme. Non è segno di fraternità saper rinunciare a
qualche cosa, a un proprio punto di vista, per essere meglio una cosa sola
davanti a Dio?
Accanto alla preghiera liturgica non si possono dimenticare anche
gli altri momenti di preghiera, non liturgica ma sempre comune. Anche
questi momenti sono da vivere con gioia e non con peso. Sempre per lo stesso
motivo: sono momenti in cui non solo esprimo la mia identità di religiosa, ma
anche momenti in cui la mia preghiera vive la sua propria verità di preghiera
tipica della persona consacrata e chiamata a vivere in comune anche il momento
della preghiera. E’ chiaro che la preghiera è sempre personale, cioè dialogo di
amore a tu per tu con il Signore. Ma c’è differenza tra chi cerca e ama la
solitudine come spazio irrinunciabile del proprio incontro con il Signore e chi
vive solitario, creandosi spazi di autonomia, quasi che la comunità costituisse
un fastidio e un inciampo.
La nostra è una preghiera che porta nel cuore i sacerdoti. Può capitare
che anche in una comunità religiosa che ha il carisma tipico di essere al
servizio dei sacerdoti si finisca a volte per parlare dei sacerdoti, operare per
i sacerdoti, ma di non pregare per i sacerdoti. E questa sarebbe un’eventualità
molto triste. E invece sappiano che questa è una, anzi la forma privilegiata di
servizio che siamo chiamati a rendere ai sacerdoti. Pregare per i sacerdoti vuol
dire pregare per loro in generale. Pregare per i sacerdoti vuol dire portare
davanti al Signore casi particolari di cui si conosce il momento di fatica e di
sofferenza. Pregare per i sacerdoti significa essere sostegno davanti a Dio nel
momento delle loro fatiche apostoliche. Pregare per i sacerdoti vuol dire
pregare perché la loro missione possa produrre i frutti più grandi per il bene
del Regno di Dio.
Aggiungo che è solo a
partire da una preghiera assidua, sentita, vissuta che questa stessa preghiera
tende a diventare offerta di sé. E questo deve essere proprio lo sbocco della
nostra preghiera: pregare a tal punto e con tale intensità da percepire che
quasi non basta più pregare e bisogna offrirsi per il bene dei sacerdoti, anche
con penitenza e sacrificio. Che bella la penitenza offerta al Signore da una
religiosa per il bene dei sacerdoti! Non è una vera e propria dimostrazione di
maternità spirituale, così tipica della vita consacrata?
Preghiera nostra?
Giustamente abbiamo parlato della nostra preghiera. La preghiera è, appunto, una
slancio del nostro cuore che desidera intrattenersi con il Signore. Ma c’è un
aspetto da non dimenticare mai, quando parliamo di preghiera: ed è l’aspetto
della preghiera che lo Spirito del Signore fa dentro di noi. La preghiera è
sempre frutto di questo duplice movimento: il nostro verso Dio e di Dio verso di
noi. E’ un aspetto molto bello e consolante della realtà della preghiera.
Infatti viene a ricordarci, soprattutto nei momenti di fatica, di aridità e di
incapacità a pregare, che è il Signore stesso a pregare in noi, con noi e per
noi. Si tratta di ritornare sempre all’interno del nostro cuore per ritrovare la
meravigliosa sorgente della nostra preghiera e a questa sorgente attingere con
abbondanza. Ripensiamo alla bellissima immagine usata da Sant’Ignazio di
Antiochia. Parla di una sorgente d’acqua viva che mormora nel cuore dell’uomo.
Che cosa è questa sorgente di acqua viva se non lo Spirito che abita e opera
dentro di noi?
Quanto
affermato ci suggerisce uno dei motivi per cui è importante che la nostra
giornata, come tutta intera la vita, conosca il raccoglimento e il silenzio.
Certo, vi sono anche altre motivazioni. Ma tra queste vi è certamente quella per
cui è solo nel silenzio e nel raccoglimento che ci è possibile ascoltare la voce
dello Spirito e con questa voce mettersi in sintonia: così che sia lui a pregare
in noi. E quando parlo di raccoglimento e di silenzio ne parlo come di uno stile
personale, certo; ma anche come di uno stile comunitario, uno stile che la
comunità deve essere capace di offrire a ogni suo membro.
Una vita di preghiera
Tenendo presente il titolo della nostra riflessione è giusto affermare che la preghiera è vita e che, di conseguenza, è chiamata a espandersi in tutta la vita. La preghiera deve diventare vita e la vita deve diventare preghiera. In che senso? Vediamo tre ambiti diversi in cui questo può e deve realizzarsi.
Un primo ambito:
la preghiera e l’impegno dell’apostolato. Ascoltiamo una pagina di
Charles de Foucauld: “Forse, non faccio mai così bene orazione, quanto
nelle lunghe e stressanti giornate passate in mezzo a questa brava gente che mi
assedia, che mi succhia alla lettera. Vedere Gesù in ogni essere umano. Come è
reale il Cristo, come è terribilmente reale, quando si presenta sotto le specie
di uno dei nostri fratelli infelici! Come è bello venire al soccorso di Gesù,
quando ce lo domanda uno di quelli per cui Egli è morto! Allora, passare la
giornata a curare la carne stessa di Gesù, è diventare contemplativi”. Per il de
Foucauld la preghiera si era propagata in tutta la vita, perché tutto era
occasione di incontro, di sevizio, di dialogo con il Signore. Ma come questo gli
è stato possibile? Perché quest’uomo passava ore e ore in adorazione. E’ solo la
custodia della “nostra” preghiera che rende possibile la propagazione della
preghiera in tutta la vita.
Un secondo ambito: la preghiera e l’azione incandescente di carità.
Ascoltiamo quanto ha lasciato scritto un umile frate carmelitano addetto alla
cucina nel suo convento: “Non è necessario avere grandi cose da fare, io rivolto
le frittate nella padella per amore di Dio. Quando sono pronte, se non ho altro
da fare, mi prostro per terra e adoro il mio Dio che mi ha dato la grazia di
prepararle, dopo di che io mi alzo più contento di un re. Quando non posso fare
latro, mi basta aver sollevato una pagliuzza da terra per amore di Dio” (Fra’
Lorenzo della Risurrezione). Le nostre opere, i nostri gesti, anche più
piccoli, hanno peso davanti a Dio nella misura in cui sono animati dall’amore. I
nostri comportamenti quotidiani hanno valore nella misura in cui sono
incandescenti di carità. Ma questo è possibile nella misura in cui custodiamo
con fedeltà la “nostra” preghiera.
Un terzo e ultimo ambito: la preghiera e la volontà di Dio. Ascoltiamo:
“Amo tutto quello che lui fa” (Santa Teresa di Gesù Bambino). E ancora:
“O Dio, nelle dispute che si scatenano in fondo a me, sii tu sempre la mia
maggioranza” (Emmanuel Mounier). Come fare perché la vita intera diventi
preghiera? Vivendo tutto, proprio tutto nella volontà di Dio; accogliendo tutto,
proprio tutto dalla mano di Dio e come una sua chiamata. Allora la nostra vita
diventa risposta d’amore al Signore che chiama e, dunque, preghiera.
Parlando della preghiera come di una vita sottolineo ancora un duplice aspetto. Se la preghiera è una vita allora questa vita deve crescere. Guai se ci accontentassimo di come preghiamo oggi. C’è un cammino da percorrere. Come viviamo la Messa? Come recitiamo la liturgia delle Ore? Come facciamo meditazione? Come diciamo il Rosario? Le domande potrebbero continuare. Se mi ritrovo oggi così come ero ieri non è un buon segno di vitalità interiore. Domani dovrò essere cresciuto nel mio modo di pregare.
Infine, se la preghiera è una vita, allora questa vita deve essere curata e custodita. E’ preziosissima, ma è anche fragile. Basta poco per smarrire lungo il cammino questo tesoro inestimabile che è la preghiera. La mancanza di cura a volte porta all’abbandono, quasi senza che ce ne accorgiamo. Un giorno prego meno, l’altro giorno di nuovo e così via. Fino a perdere l’amore per la preghiera, fino a non pregare più. Ma questa sarebbe la nostra morte.
Concludo con un’affermazione di Evagrio il Pontico: “Dio dà la preghiera a colui che prega” Ecco la risposta alle nostre domande circa come fare a pregare, a imparare a pregare, a migliorare nella preghiera.