"PICCOLA OPERA REGINA APOSTOLORUM"

n. 3- giugno 2003



solo alcuni articoli

 

S.E. Mons. Tarcisio bertone

Omelia  alla S.Messa per le Ordinazioni Diaconali

Genova - Cattedrale, 11 maggio 2003

PROFILO DEL DIACONO

PREMESSA

         Questa celebrazione è veramente un kairòs, per la straordinaria coincidenza di tre eventi che gettano luce su di essa: la IV domenica di Pasqua, dedicata a Gesù Buon Pastore, la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e la Giornata della Famiglia, che la diocesi suggerisce di festeggiare oggi, perché cresca la testimonianza della comunione e della familiarità in ogni nostra comunità cristiana, piccola Chiesa e Famiglia dei figli di Dio.

       I tre avvenimenti ci aiutano a tracciare il profilo del diacono, secondo l’esperienza della Chiesa e le indicazioni della Parola di Dio.

Egli è un chiamato da Dio ad essere Ministro della preghiera, della parola e della carità. In questo senso siamo tutti invitati a pregare il Signore perché effonda su Germano, Rosario, Lorenzo e Vincenzo il dono dello Spirito Santo per consacrarli e abilitarli alla missione apostolica che è loro affidata dalla Chiesa.  “Effondi in loro lo Spirito Santo che li fortifichi con i sette doni della Tua grazia, perché compia fedelmente l’opera del Ministero”.

 1) Anzitutto il diacono riceve un primo grande compito: quello di impersonare e prolungare Cristo orante, quel Cristo che fece della preghiera una occupazione non secondaria della sua vita terrena, e che spende la sua vita celeste ad intercedere per la sua Chiesa.

        Cristo è la lode vivente e sostanziale del Padre, il grande religioso di Dio, l'unico che può dare del Tu al Padre. Ora, Egli continua nella sua Chiesa la sua missione di lode e di preghiera, per mezzo dei Ministri della preghiera ufficiale del corpo Mistico.

         In ciò appunto consiste la grandezza inestimabile del nostro Breviario. Per mezzo di esso noi siamo la bocca del Cristo orante nella sua Chiesa. Siamo Cristo che prega. Siamo la lingua del Corpo Mistico. Dobbiamo celebrare il nostro breviario sempre “in persona Christi ‑ in persona Ecclesiae”, cioè in nome, per incarico, con i sentimenti e le intenzioni di Gesù e della sua Sposa. Se sapessimo quanto siamo grandi e potenti nell'ora del nostro Breviario! Noi possediamo la più grande forza di rivoluzione che un uomo può avere; possiamo imprimere un nuovo corso alla storia dell'umanità.

Pensiamo alla preghiera apostolica e missionaria di S. Teresa di Gesù Bambino. Pensiamo alla preghiera di Madre Teresa di Calcutta.  Racconta Mons. Angelo Comastri, Arcivescovo di Loreto: «La prima volta che incontrai Madre Teresa fui colpito dal suo sguardo: mi guardò con due occhi limpidi e penetranti. Poi mi chiese: “Quante ore preghi al giorno?”. Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a difendermi dicendo: “Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante ore prego?”. Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò: “Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega. Pregando, Dio mi mette il suo amore nel cuore e così posso amare i poveri. Pregando!”

2) Il secondo compito del diacono è di essere Ministro della Parola. E’ difficile impersonare Cristo Maestro, ma soprattutto ripresentare al mondo, ai giovani di oggi, Cristo, Maestro buono (come lo ha chiamato il giovane del Vangelo).

         Già Paolo VI diceva che ci sono tanti maestri; ma i giovani hanno bisogno più di testimoni che di maestri. E durante il recente Congresso Catechistico Internazionale si è molto insistito sulla dimensione spirituale e testimoniale della vita dei catechisti (quanto più dei diaconi!). Un rappresentante della Colombia ha esattamente denunciato la frattura che esiste tra annuncio e vita: questa dolorosa constatazione ci impone un maggior impegno di coerenza tra il dire e il fare, tra la Parola e la testimonianza. Il diacono non detta il suo significato in quello che dice, o in come si veste (da oggi i nuovi diaconi potranno portare la stola) ma in quello che è: servo della Parola, servo della Verità che salva, e perciò servo di Cristo.

3)  In terzo luogo il diacono riceve il compito di essere Ministro della carità.

       Il diacono è uno che dice si all’amore, perché esso soltanto, proprio con il suo rischio della sofferenza e della perdita di sé, porta l’uomo a se stesso e lo rende ciò che egli deve essere. Penso che questo sia il vero dramma della storia, cioè che essa nella molteplicità dei fronti, gli uni contrapposti agli altri, è riconducibile alla formula: si o no all’amore. E Dio che cosa vuole veramente da noi? Che diventiamo persone che amano cioè che realizziamo la nostra somiglianza con Lui. Poiché, come dice S. Giovanni, Egli è l’Amore e desidera che ci siano creature a Lui simili, che, scegliendo liberamente di amare diventino come Lui, Gli appartengano e diffondano così il suo splendore! (Card. Joseph Ratzinger).

       I nostri quattro diaconi sono giunti al primo grado del Sacerdozio Ministeriale che comprende anche il secondo grado che raggiungeranno poi col Presbiterato.

        Il sacerdozio ministeriale, nel disegno di Cristo, non è espressione di dominio, ma di servizio. Chi lo interpretasse come "dominio", sarebbe certamente lontano dall'intenzione di Cristo, che nel Cenacolo iniziò l'Ultima Cena lavando i piedi agli Apostoli. In questo modo pose fortemente in rilievo il carattere "ministeriale" del sacerdozio istituito quella sera stessa. "Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).

         Sì, il sacerdozio della Chiesa cattolica è un sacerdozio ministeriale! Serviamo il Popolo di Dio! Serviamo la sua missione! Questo nostro sacerdozio deve garantire la partecipazione di tutti, uomini e donne, alla triplice missione profetica, sacerdotale e regale di Cristo. E non solo il sacramento dell'Ordine è ministeriale: ministeriale è prima di tutto la stessa Eucaristia. Affermando: "Questo è il mio Corpo che è dato per voi (...) Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi" (Lc 22, 19.20), il Cristo rivela il suo sacerdozio più grande: il servizio della Redenzione, in cui l'unigenito ed eterno Figlio di Dio diventa Servo dell'uomo nel senso più pieno e profondo.

         Accanto a Cristo-Servo, non possiamo dimenticare Colei che è " la Serva”, Maria. San Luca ci informa che, nel momento decisivo dell'Annunciazione, la Vergine pronunciò il suo "fiat" dicendo: "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1 )38 ). Il rapporto del sacerdote verso la donna come madre e sorella si arricchisce, grazie alla tradizione mariana, di un altro aspetto: quello del servizio ad imitazione di Maria serva. Se il sacerdozio è per sua natura ministeriale, occorre viverlo in unione con la Madre, che è serva del Signore. Allora, il nostro sacerdozio sarà custodito nelle sue mani, anzi nel suo cuore, e potremo aprirlo a tutti. Sarà in tal modo fecondo e salvifico, in ogni sua dimensione.

 

 

Don Claudio Doglio

FILIPPO BATTEZZA UN ETIOPE  (At 8,26-40)

 

L’episodio in cui è protagonista Filippo riguarda un caso singolare di evangelizzazione, perché riguarda il battesimo di un etiope, uno assolutamente estraneo al popolo d’Israele, anche se simpatizzante del giudaismo. Questo eunuco, cioè alto ministro della regina Candace di Etiopia è venuto a Gerusalemme per il culto, ha fatto un bel viaggio, è accompagnato da un corteo perché è un diplomatico di alto rango ed è venuto a Gerusalemme perché è devoto di Yahveh, evidentemente, anche se straniero, si è avvicinato al popolo ebraico e ha voluto fare il pellegrinaggio a Gerusalemme e sta studiando la Bibbia, sta leggendo per suo conto gli antichi profeti e non li capisce.

Luca concentra in questa pagina un bellissimo esempio di catechesi biblica ed è un primo spiraglio di apertura ai lontani, ai molto lontani. Il racconto è pieno di particolari simbolici, molto interessanti, ma quello che domina l’intelaiatura del racconto è il tema del cammino. Sappiamo che l’evangelista Luca ama mostrare il Cristo in cammino, il suo vangelo è incentrato sul viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Luca scrive le sue opere per dire alla sua gente: dobbiamo rimetterci in cammino con il Cristo, pensate ai discepoli di Emmaus, partivano tristi, il Cristo si è messo a camminare con loro, gli ha spiegato le Scritture, ha fatto ardere il loro cuore, lo hanno riconosciuto nello spezzare del pane, nell’eucaristia, e a quel punto, pieni di gioia, sono tornati indietro, hanno ricuperato l’entusiasmo, la voglia di annunciare. Il racconto dei discepoli di Emmaus è strutturato da Luca nello stesso modo con cui adesso struttura il racconto dell’incontro di Filippo con l’etiope e aggiunge molti particolari di tipo soprannaturale che non devono presi alla lettera, ma devono essere intesi come un ripensamento posteriore di eventi che hanno aperto delle prospettive nuove alla Chiesa. Noi diremmo: Filippo «per caso» incontrò quel corteo di etiopi. Invece Luca, ripensandoci, dice: se si è trovato su quella strada non fu per caso; come mai era andato a finire su quella strada desertica che non portava da nessuna parte, visto che Filippo non voleva andare lontano?

26Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta».

L’imperativo iniziale è già simbolico: «alzati e cammina», sembra l’imperativo di Gesù ad un paralitico, è la parola che ha detto Pietro al paralitico della Porta Bella: «non ho né oro né argento, quello che ho te lo do, nel nome di Gesù alzati e cammina». Anche a Filippo, l’evangelizzatore viene detto: alzati e cammina.

27Egli si alzò e si mise in cammino,

è Filippo che accetta di alzarsi dalla sua situazione, di muoversi dal suo atteggiamento statico per mettersi in cammino, è il cammino di formazione di Filippo, è il superamento di se stesso che permette a Filippo di incontrare questo straniero; se Filippo fosse stato fermo e seduto in Gerusalemme non lo avrebbe incontrato.

Quand’ecco un Etiope, un eunuco, funzionario di Candàce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme, 28se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia.

Notiamo la differenza dell’atteggiamento dei due personaggi: Filippo cammina, l’etiope è seduto.

29Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti, e raggiungi quel carro». 30Filippo corse innanzi

non è una semplice descrizione di un episodio di cronaca, ma è un bozzetto di teologia ecclesiale; lo Spirito dice al ministro della Chiesa: «Va’ avanti, e raggiungi quel carro», va’ avanti, corri in avanti per raggiungere quello straniero, per raggiungere quella persona che è fuori dai tuoi schemi. È lo Spirito che dice a Filippo: non aspettare che venga da te, corri tu.

udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?».

Gli antichi avevano l’abitudine di leggere ad alta voce e quindi Filippo riesce ad intuire che cosa sta leggendo e la domanda è un po’ impertinente, però serve per permettere la risposta.

31Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?».

Qui Luca intende dire: non si può capire la Bibbia, se non nell’ottica di Gesù Cristo, se non c’è la formazione cristiana, cioè se Gesù Cristo non ti illumina per poterla intendere nel modo corretto. Non è Filippo che istruisce l’etiope, è il Cristo che, mediante Filippo, illumina l’etiope.

Stava leggendo un passo di Isaia al capitolo 53. Si tratta del quarto canto del servo di Dio, il servo sofferente; è un brano che nella nostra liturgia viene proclamato il venerdì santo.

E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: “Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. 33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita” (Is 53,7-8). 34E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?».

Chi è questo tizio, ecco la domanda dell’etiope, chi scrive di chi parla? Sta parlando di sé o parla di qualcun altro?    Ecco le due interpretazioni possibili: l’autore antico pensava solo a se stesso, quindi è un fatto antico o era una profezia che riguardava il futuro? L’episodio di Filippo e dell’etiope è fondamentale nella struttura degli Atti per mostrare come la Chiesa rilegge in modo nuovo i testi dell’Antico Testamento. E qui abbiamo l’esemplificazione completa della lettura cristologica di questi testi; il canto del servo di Yahveh la comunità primitiva lo leggeva come una profezia della passione di Gesù Cristo. Le autorità di Gerusalemme non potevano tollerare una cosa del genere. Filippo diventa un evangelista, un annunciatore della buona notizia, cioè uno che spiega il senso delle Scritture.

35Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù.

Gli annuncia il vangelo partendo dalla lettura dell’Antico Testamento.

36Proseguendo lungo la strada,

i due uomini hanno fatto un po’ di cammino insieme e in questo cammino insieme arrivano al punto dove i discepoli di Emmaus avevano detto: «fermati con noi».

giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: «Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?».

Consultando una Bibbia, vediamo che il versetto 37 non c’è, è indicato e saltato, ma in realtà esiste, esamineremo il problema.

E Filippo disse: «Se credi con tutto il cuore, è possibile». 37Rispose allora l’eunuco: «Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio».

Abbiano l’occasione di dire che il testo antico degli Atti degli Apostoli è stato trasmesso in due forme diverse: una testimoniata dalla grandissima maggioranza dei codici antichi e un altro testo testimoniato da un codice siglato con la lettera D e chiamato «testo occidentale». Questo testo occidentale ha molti particolari in più, ha molti versetti in più degli altri. Da sempre gli studiosi discutono se questi particolari aggiunti siano autentici o delle glosse, cioè dei particolari che un copista devoto ha aggiunto liberamente. Oggi si è favorevoli a ritenere che i versetti della tradizione occidentale siano antichi e appartengano ad una redazione lucana.

Probabilmente gli Atti degli Apostoli hanno avuto due redazioni, una prima e una seconda e queste due diverse redazioni sono state diffuse in modo indipendente per cui abbiamo dei codici che testimoniano gli Atti degli Apostoli nella prima e altri nella seconda. Questo versetto 37, che appartiene solo alla versione occidentale, era un versetto carissimo alla volgata perché è una professione di fede battesimale: l’eunuco dice: «Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio»; può essere battezzato, perché, da buon catecumeno, fa la sua professione di fede. Così il versetto 37 è entrato nelle Bibbie, anche se in molti casi viene riportato solo in nota. A me piace conservarlo e inserirlo nel testo!

38Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco

camminarono insieme tutti e due e tutti e due discesero nell’acqua. Oltre alla simbologia del cammino aggiungiamo la simbologia del discendere nell’acqua, il segno della morte di Cristo. Filippo scende con l’etiope e Filippo battezzò l’etiope.

L’evento sacramentale compie il cammino animato dalla parola, i discepoli di Emmaus, dopo aver camminato con il Cristo risorto celebrano con lui l’eucaristia, Filippo dopo aver camminato con l’etiope celebra con lui il battesimo.

Subito dopo i discepoli di Emmaus non videro più Gesù,

39Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più

nel momento in cui l’evento sacramentale è avvenuto, il ministro sparisce e Filippo non diventa padrone della vita dell’eunuco, non continua il cammino con lui, è lo Spirito del Signore che rapì Filippo, ma quell’etiope

proseguì pieno di gioia il suo cammino.

Notiamo la formulazione perfettamente lucana. Proseguì il suo cammino, cioè continuò la sua vita in una dinamica di crescita, ma questa volta è pieno di gioia, avendo accolto il Cristo con cuore retto l’etiope è contento, non sembra neanche più seduto, sembra che cammini in piedi adesso, che stia in piedi sul suo carro di ritorno.

 

 

Suor Paola Barenco

 

APRIRE IL PROPRIO SPAZIO INTERIORE
PER ACCOGLIERE L’ INTERIORITA’ DELL’ALTRO

 

INTRODUZIONE

 Ogni essere umano è in possesso del grande, ma spesso inconsapevole, dono di prendersi cura, di mostrare compassione, di farsi prossimo agli altri, di ascoltare, di com-prendere, di ricevere. Se questo dono fosse liberato da ciò che lo inibisce, e reso disponibile, potrebbero verificarsi autentici miracoli. Chi davvero sa ricevere pane da un estraneo e sorridergli con gratitudine, è in grado, senza rendersene neppure conto, di saziare la fame di molti. Chi sa stare accanto al proprio prossimo in silenzio, non sapendo che dire, ma sapendo che il proprio posto è lì, può trasfondere nuova vita in un cuore ormai languente…

Perché permettiamo che questo gran dono del sapersi prendere cura resti tanto profondamente nascosto? Perché in genere la nostra carità consiste nel dare quei pochi spiccioli d’elemosina senza osare fissare in viso il mendicante? Perché , in una sala da pranzo, non pensiamo di avvicinarci a chi sta mangiando in solitudine, ma ci affrettiamo piuttosto a guardarci intorno, alla ricerca di commensali che già conosciamo tanto bene?…

Forse semplicemente perché siamo così occupati a essere diversi dagli altri che non ci autorizziamo a deporre le nostre pesanti corazze, e ad avvicinarci gli uni agli altri in una reciproca vulnerabilità. Forse perché siamo così saturi delle nostre opinioni, delle nostre idee e convinzioni personali, da non aver più spazio, in noi, per ascoltare l’altro e imparare da lui, o da lei.

C’è una storia su un docente universitario che si recò da un maestro Zen per domandargli dello Zen. Nan-in, il maestro Zen, gli offrì un tè. Versò il tè nella tazza del suo ospite finché la tazza fu piena, poi continuò a versare. Il professore stette a guardare tutto quel liquido che traboccava, fino a quando non poté più trattenersi. “Ma è già piena sino all’orlo. Non può più starcene ancora!”. “Proprio come questa tazza”, disse Nan-in, “tu sei pieno delle tue opinioni e speculazioni. Come posso insegnarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”

Prendersi cura significa prima di tutto vuotare la propria tazza, e permettere all’altro di avvicinarsi a noi. Significa eliminare le tante barriere che ci precludono la possibilità di entrare in comunione con l’altro. ( HENRI  J.M. NOUWEN, Forza dalla solitudine, Brescia, Queriniana, 1998 )

 

1.     Per aprire il proprio spazio interiore occorre conoscerlo

 

Nel momento in cui siamo chiamati a fare un servizio di ascolto e di accompagnamento di altri,  entra in gioco tutta la nostra persona. Chi si occupa di accompagnamento  e di discernimento vocazionale si rende conto che, prendersi cura di qualcuno coinvolge tutta la propria persona e la propria responsabilità. Occorre preparazione ed un serio lavoro su se stessi, affinché l’essere accanto all’altro sia estremamente rispettoso del cammino della persona e del piano di Dio su di lei.

Ma per compiere un lavoro su di sé è necessario entrare nella propria interiorità, affinché l’accompagnamento dell’altro avvenga alla luce della gratuità, della libertà da sé, dai propri schemi culturali, esistenziali, spirituali, affinché il servizio che si compie non sia una proiezione delle nostre aspettative sull’altro e su  se stessi.

Ecco, allora, che entrare nella propria interiorità significa esplorare alcuni ambiti che influiscono in maniera significativa nel porsi dinanzi a se stessi e all’altro. E’ attraverso un approfondimento di quello che siamo che è possibile arrivare ad una maturità di relazione che non significa assenza di problematiche e di conflitti e non significa neanche guarigione da tutte le immaturità. La maturità, infatti, trova un fondamento importante nel saper conoscere e gestire le proprie fragilità orientandole ad un progetto di esistenza in favore di sé e dell’altro. E’ nella misura in cui si prende consapevolezza di quello che ci “muove” che è possibile essere in grado di orientarlo verso dei valori autentici. E' importante, ad esempio, rendersi conto se si fa un servizio di ascolto, di carità, di animazione per gratificare noi stessi o per servire;  quanto c’è di “bisogno di potere”, di “successo” ed il bisogno di donarsi agli altri orientato al valore del servizio evangelico.

Più si vive in profondità e si è capaci di guardare con onestà se stessi, più si diventa in grado di essere attenti all’altro in un amore disponibile ad incontrare l’altro col cuore e non solo nella superficie. Guardare in profondità permette di andare al di là del negativo che può apparire per cogliere le positività. Oltrepassare l’apparenza porta a stupirsi dei doni di sé e dell’altro.

Ø       Il mondo dei sentimenti

Quando noi ci poniamo davanti ad una persona proviamo dei sentimenti. Se non ne siamo consapevoli, questi possono interferire notevolmente nella relazione e impedirci un ascolto vero. Fare spazio dentro di sé significa prendere coscienza che esistono dentro di noi delle emozioni e che queste lavorano all’interno della relazione.

Scrive Anselm Grun: “ Un tempo eravamo troppo fissati, nell’ascesi, a tenerci lontani da pensieri e sentimenti negativi. Sentimenti come collera e ira non erano buoni, perciò bisognava tagliarli; così come bisognava evitare l’invidia, tenere a bada la sensualità. Anche se lo si faceva con buone intenzioni, e in tanti casi era anche giusto fare così, ciò comportava il pericolo di recidere, insieme alle passioni, pure la forza che può essere insita in questi sentimenti. Emozioni e sensualità rimanevano una minaccia dall’esterno, costituivano l’avversario, al quale bisognava chiudere in faccia le porte della città. Così rimanevano fuori e non potevano essere trasformati. Non si trattava con l’avversario, ma lo si teneva a distanza. Così facendo, però, non si raggiungeva la pace… Percorrere la strada della trasformazione vuol dire guardare  in faccia i sentimenti e le passioni e trattare con loro coscientemente… vuol dire trattare con le forze primordiali e con le passioni che ci minacciano e far pace con esse”.   ( ANSELM GRUN, Il coraggio di trasformarsi, San Paolo, 1995 )

 Le emozioni sono una parte importante del nostro mondo interiore e rappresentano quello che proviamo nei diversi momenti della nostra vita, davanti alla varietà dell'esistenza. Sono come la risonanza dentro di noi di tutti gli avvenimenti che ci circondano e ci colpiscono. Sono, quindi, una spia del nostro modo di essere presenti nel mondo e in relazione con gli altri e ci indicano cosa in noi, in certi momenti o in particolari situazioni, ha avuto più impatto e di quale tipo esso sia stato.

Le emozioni non sono mai casuali, ma sono sempre legate al nostro vissuto passato o futuro.

Quando derivano dal nostro passato, nascono in noi perché la situazione presente che stiamo vivendo suscita delle sensazioni che abbiamo già vissuto precedentemente, magari in un contesto simile, e che hanno lasciato una traccia dentro di noi, anche se non ce ne siamo mai resi conto.

A volte, ad esempio, proviamo una forte simpatia per una persona che quasi non conosciamo e non riusciamo a comprenderne il motivo. Se ci riflettiamo bene è probabile che possiamo notare in lei qualche caratteristica o modo di fare che ci ricorda qualcuno che nel passato ci ha voluto bene ed è stato effettivamente importante. Così come quando proviamo antipatia o avversione, insofferenza…

Quando ci si trova con un giovane che si rivolge a noi per un discernimento o accompagnamento si può provare tenerezza, affetto o anche, in taluni momenti, rabbia.

E’ necessario prendere contatto con tali emozioni affinché non siano esse a guidare l’incontro con la persona e il discernimento stesso.

Le emozioni legate al futuro dipendono, invece, dalle nostre aspettative e dalle nostre preoccupazioni per quello che immaginiamo dovrà accaderci.

L'emozione che noi proviamo è collegata al tipo di lettura che noi facciamo della realtà e può portarci a dare un peso diverso a ciò che ci circonda. Per esempio, se siamo in collera con una persona, saremo portati a dare un peso maggiore a tutte le sue azioni nei nostri confronti, sottolineando soprattutto ciò che non approviamo, e magari leggendolo come un attacco verso di noi.

L'emozione non è né buona né cattiva, perché il sentire è un'esperienza comune in ogni uomo.

Le emozioni sono ciò che dà gusto e colore alla nostra vita e impediscono che tutto ci scorra sotto gli occhi con indifferenza.

Esse sono, dunque, una fonte di ricchezza e, proprio per questo, man mano che cresciamo, diventano sempre più numerose e sfumate.

E' importante sottolineare, però, che sono un'esperienza soggettiva, che ci porta a leggere il mondo con le nostre proporzioni,  spesso dettate dai diversi tasti che dentro di noi la realtà esterna ha messo in moto.

Ø       L’affettività e la capacità di amare

L’affettività costituisce un aspetto rilevante della persona, perché, nell’armonia con la razionalità permette l’approccio alla realtà.

Essa è la capacità di provare sentimenti, emozioni, sensazioni e contiene in sé una forza notevole che dà tonalità e slancio alla vita. L’aspetto affettivo è quello che conferisce colore e calore all’esistenza. Se provassimo ad immaginare la vita senza emozioni ci apparirebbe grigia. Così come aspetti anche caratteristici della vita consacrata possono apparirci più stimolanti con l’apporto affettivo: la preghiera, un ritiro, la vita comunitaria, il lavoro…

Anche l’interesse stesso che ci muove verso le cose presenta una sintesi tra dato razionale (“mi interessa perché è importante”) e dato affettivo (“mi piace, suscita in me emozioni piacevoli, mi rende felice”).

L’affettività, naturalmente, è da conoscere  come forza che può stimolare la crescita della persona nel rapporto con se stessa e con gli altri, ma va anche gestita in quanto i rapporti non possono andare esclusivamente dietro la spinta emotiva altrimenti si rischierebbe di creare relazioni troppo cariche affettivamente, nella difficoltà, quindi, di contenerle.

La gestione dell’affettività può essere vissuta in armonia con un progetto di vita, perché da questo riceve una sua fisionomia e significato particolare. E’ di notevole importanza, per i consacrati, armonizzare la gestione dell’affettività con la forma di esistenza che hanno scelto.

E’ necessaria una seria conoscenza di sé e dei bisogni che sottostanno ai propri movimenti affettivi. Di fatto le relazioni di dipendenza, servizio, aiuto agli altri, di guida…possono essere mossi da libertà, ossia da un reale uscire da sé per andare verso l’altro gratuitamente oppure, inconsciamente possono essere mossi da insicurezza e da un bisogno di dipendere dagli altri, dalle gratificazioni affettive, dall’approvazione altrui, dal bisogno di gestire qualcuno o qualcosa perché manca quella sana autostima e accettazione di sé con i propri lati forti e più deboli, che permette di stare in piedi da soli e di porsi per quello che si è.

- La conoscenza e la gestione dell’affettività  deve tenere presente l’integrazione della sessualità come modalità specifica di esprimersi in quanto uomini e donne.  Una persona che non sta bene con la sua sessualità con problemi di ansia o problemi non risolti nell’ambito della sessualità farà fatica ad intessere delle relazioni profonde. Una persona che vive problematiche di questo tipo talvolta si immunizza ritirandosi nel proprio ruolo definito e vive con disagio quando nell’apostolato si presentano situazioni o incontri nuovi, inediti, non previsti che portano al di fuori del ruolo. Quindi, in questo caso, anche in una situazione di accoglienza dell’interiorità dell’altro, è necessario tenere presente questo fattore. Un giovane, quando viene da noi, ci parla anche della sua sessualità. Per fare realmente spazio dentro occorre essere coscienti dei problemi che ci si porta dentro per non confondere i propri con quelli del giovane e quindi non poter essere di reale aiuto.

In questo caso non è detto che, se si fa un servizio di accompagnamento o discernimento, tutti i problemi devono essere risolti, ma, certamente è necessario prenderli in mano nella consapevolezza che nel momento in cui si è davanti ad una persona essi possono riemergere  in atteggiamenti di distacco, rigidità o di eccessivo coinvolgimento.

- Nella direzione della  maturazione affettiva si colloca l’attenzione alla capacità e all’esperienza di solitudine.

Nell’accoglienza del vissuto delle persone ci si misura anche con la propria capacità di portare tali vissuti, spesso da soli. Le risonanze che si possono trovare dentro possono essere spunto per un ulteriore lavoro su di sé domandandosi: “ Perché provo questo?” “ Da dove viene?” .

Scrive Grun: “ Nella solitudine io non devo smettere di chiedermi cosa vivo veramente. E’ una provocazione spirituale che mi pone davanti una domanda: “ in quale direzione va il mio desiderio più profondo ? ”

L’accompagnatore non lega a sé: è capace di profondità di rapporto senza legare le persone a sé, ma sentendosi uno strumento. Il consacrato vive una dimensione esistenziale e vocazionale di solitudine. Per questo impara a vivere la “lacerazione” di non possedere le persone e, neanche, le amicizie. Talvolta può verificarsi che in situazioni di relazioni di accompagnamento o addirittura di amicizia con particolari dipendenze affettive, l’altra persona, se, ad esempio,  non ha ancora fatto una scelta di vita o di appartenenza oppure vive con fatica relazioni legate ad una o più persone, possa legarsi talmente al consacrato/a da non cercare altre relazioni e non fare, quindi, scelte di vita, quasi che venisse a crearsi una sorta di  surrogato di relazione esclusivo, non aprendosi, invece, ad altre relazioni che possono arricchire e far crescere.

E’ importante e necessario cogliere queste dinamiche affinché accompagnatore ed accompagnato possano vivere un’autentica libertà di rapporti.

Ø       La storia personale

Ognuno ha la sua storia e questa storia è profondamente radicata nella persona.

La nostra storia ci accompagna nella nostra visione di noi stessi, di Dio, delle altre persone.

La relazione, ad esempio, con i genitori e l’instaurarsi di una fiducia di base sono essenziali per una crescita graduale nell’accettazione di sé e dell’altro, nel credere nella proprie capacità e di metterle a frutto, nel rischio della quotidianità e nella relazione.

Praticamente tutte le scuole psicologiche  affermano che la riconciliazione con se stessi e la propria storia sono molto importanti per un approccio  con se stessi sereno, in cui è possibile scoprire e vivere i propri valori ed il proprio posto.

La nostra storia è costituita da fatti e soprattutto dei nostri vissuti relativi a quei fatti.

Nel momento in cui non c’è una conoscenza di sé approfondita può avvenire di cercare affetto dagli altri e di impostare i rapporti  come ricerca di affetto. Così come situazioni non accettate ed integrate, sensi di inferiorità, rabbie represse tendono a riportare, quasi a fissare la persona in quegli avvenimenti, condizionando il procedere del cammino e della maturazione personale perché si è rimasti dentro quel vissuto. Questo condiziona anche la percezione realistica della realtà in quanto si tende ad interpretare le situazioni e gli avvenimenti con quel metro precostituito. Ad es: la persona che percepisce il suo vissuto con sfiducia e quindi avverte le proprie fragilità come bloccanti, ecco che questa potrà essere una interferenza anche nel processo di discernimento e di accompagnamento nel momento in cui scatta la percezione di sé come incapace.

Conoscere se stessi ed accettarsi può portare a prendere le distanze con tali vissuti, non rimuovendoli, ma prendendoli fra le mani ed affrontandoli. Si può accompagnare l’altro, prevedendo che in tale percorso si potrà anche presentare la percezione di sé come incapace ma, nello stesso tempo, si sarà capaci di procedere in una visione realistica di sé che comprende non solo dei lati fragili ma anche dei punti di forza da valorizzare.

Riconciliarsi vuol dire allora pacificarsi con la propria storia personale, dire di sì a quello che è stato finora il corso della mia vita, ai miei genitori, alla mia educazione, al mio carattere. Nel nostro intimo c’è molta ribellione contro la vita così com’è, contro di noi e contro il modo in cui siamo configurati. Vorremmo essere diversi, ci piacerebbe avere altre capacità… Vorremmo essere amati da tutti. Molte persone non vivono conciliate con se stesse, ma travagliate, scontente di sé e del mondo intero, in costante atteggiamento di protesta contro le persone che hanno determinato il loro destino…Non vivono il presente, fuggono da se stesse per rifugiarsi nelle loro illusioni. E così si lasciano sfuggire la vita.

Un motivo di questa mancanza di riconciliazione è il costante confronto con gli altri. Si continua a scoprire negli altri qualcosa che personalmente non si possiede. Ci si sente svantaggiati, disgraziati rispetto agli altri. Il confrontarmi porta o all’auto svalutazione e al sentirmi cattivo oppure mi costringe a sentirmi sempre “super”.

(ALSELM GRUN, Come essere in armonia con se stessi, Brescia, Queriniana, 1997)

Ø       Nelle cicatrici di ferite lontane e nuove, in un cammino di riconciliazione con se stessi      attraverso l’accettazione e l’integrazione del negativo

Le ferite che si portano dentro, lati del carattere, fallimenti avvenuti e percepiti come tali lasciano una traccia  e tendono a riaprirsi nel momento in cui si vive una esperienza simile.

Quando si incontra una persona, un giovane che si accompagna, può succedere che questo  dica che non si sente capito, che dia la colpa alle strutture, ai genitori, ecc.

Se l’educatore ha vissuto una esperienza simile, ecco che questa, attraverso il racconto che la persona fa di sé, riemerge, e la ferita si riapre diventando modalità di accoglienza e di lettura.

In questo caso chi accompagna può proiettarsi in quanto ascolta e, quindi, non essere di reale aiuto, perché parte da se stesso e quindi rischia di coinvolgersi a tal punto da non essere in grado di accogliere veramente l’altro, perché non riesce a staccarsi da sé e dalla rabbia, ad esempio, che ancora porta dentro.

Però può anche accadere che l’educatore si senta colpito, svalutato nella sua capacità di accoglienza, sentirsi incapace di aiutare e di orientare.

Le ferite, quando sono affrontate, possono diventare punto di partenza per un percorso di reale comprensione dell’altro.

Troppo spesso, abbiamo una tale diffidenza verso il negativo, che lo eliminiamo anche prima di riconoscerlo, e con ciò rendiamo vane anche la salvezza e la croce di Cristo…Non possiamo non riconoscerlo e riconoscere ciò che nascondono; e attraverso questo riconoscimento possiamo accogliere Gesù, credere nella sua venuta in questi luoghi stessi, come ospite e salvatore.

(NOEMIE MEGUERDITCHIAN, Psicologia e discernimento spirituale, San Paolo, 2000)

 Lì dove Dio abita in me con la sua misericordia, posso essere risanato, lì si affievoliscono i rimproveri e le accuse che muovo a me stesso. Lì mi sento veramente a casa, lì posso essere quello che sono.

( GRUN, Come essere in armonia, cit.)

Nell’accoglienza delle ferite è necessario anche accettare se stessi nella possibilità ancora di fallire, anche nell’accompagnamento. Prendere atto di questo fa sì che il senso di colpa psicologico non sia predominante nel procedere. Del resto, quando ci si prende cura di qualcuno, quando ci si dà, quando si ha a cuore una persona, ci si mette a disposizione, anche, talvolta, rischiando, tentando.

Quando ci sono ferite irrisolte può essere forte l’aspirazione al “successo” , alla riuscita anche riconosciuta all’esterno, come modalità di rivalutazione di sé. In realtà questa può essere una forte interferenza, perché, in questo modo, il centro della relazione d’aiuto non è la persona accompagnata, ma le dinamiche narcisistiche ( centrate su di sé ) dell’accompagnatore.

Questo non significa che, allora, non si può tendere alla riuscita. Anzi, essa può diventare “rinforzo”, stimolo ad un impegno maggiore. E’ necessario, però, avere chiaro il punto di partenza.

La presa di coscienza delle proprie proiezioni sugli altri è la via maestra d’accesso alla realtà sfuggente della propria ombra ( l’ombra è la parte di sé che si fa fatica ad accettare ). Non voler riconoscere le proprie proiezioni blocca la crescita interiore e lo sviluppo sociale. Infatti si allontanano da sé gli elementi della propria ombra che si proiettano sugli altri e, di conseguenza, ci si priva della possibilità di conoscere le proprie risorse. Chi non ha imparato l’arte di recuperare le proprie proiezioni si chiude in se stesso. Gli aspetti dell’ombra attribuiti agli altri si rivoltano contro noi stessi, suscitano stati di angoscia e di depressione e diventano fonte di numerosi conflitti nelle relazioni umane.

( JEAN MONBOURQUETTE, I lati nascosti della personalità, Figlie di San Paolo, 2001 ).

Ø       Nelle potenzialità  che ci sono e che hanno bisogno di essere liberate

A questo punto, da parte dell’educatore, è necessario prendere consapevolezza delle proprie potenzialità e liberarle.

Se in ogni persona sono presenti lati più oscuri o immaturi, è anche vero che allo stesso modo sono presenti punti forti del carattere e della personalità che rendono la persona capace di reazione, di stare in piedi, di realizzarsi e di realizzare, di andare incontro agli altri, di donarsi. Creatività, generosità, duttilità, virtù umane e doni spirituali possono dispiegarsi nella graduale acquisizione o riappropriazione  della consapevolezza di essere degni di fiducia, di essere oggetto di amore, di essere positivi, perché la positività non si identifica col non essere fragili, avere una storia perfetta e non avere alcuna dipendenza affettiva.

E’ dalla capacità di percepirsi con realismo, quindi con sana autostima, per quelli che si è, che è possibile fare il passaggio verso l’altro. Da un amore egocentrico ad un amore oblativo. Da una centratura difensiva su se stessi, per salvare la propria immagine ad una accettazione di sé libera e serena che fa sì che i lati nascosti del carattere e della personalità possano esprimersi.

Si può imparare a riconoscere e a neutralizzare l’influsso nefasto delle proiezioni dell’ombra. Se si impara a reintegrarle nell’area cosciente del proprio essere, queste proiezioni cureranno una conoscenza inestimabile del proprio lato oscuro e, al tempo stesso, favoriranno una nuova armonia tra l’ombra e il lato cosciente.

…per conoscere le qualità e i tratti del carattere che mancano alla nostra crescita non esiste test psicologico più preciso ed efficace dell’analisi delle nostre proiezioni. Infatti, se siamo portati a disprezzare e a detestare negli altri alcune qualità o alcuni aspetti del loro carattere, è perché abbiamo bisogno di svilupparli in noi stessi.   ( I lati nascosti della personalità, cit. )

Ø       Quale immagine di Dio e categorie di giudizio

Nel momento in cui ci si appresta ad accompagnare qualcuno, un altro aspetto da prendere in seria considerazione è l’immagine di Dio che ci si porta dentro e le categorie di giudizio che si sono interiorizzate.

Nell’incontro personale con le persone è facile rimanere attaccati a queste categorie  e porsi in un atteggiamento di giudizio più che di accoglienza.

La persona, per fare un cammino, ha bisogno, prima di tutto, di sentirsi accolta. In questa esperienza si apre, perché l’accoglienza e la fiducia inducono fiducia e facilitano l’apertura. Quando il giovane fa fatica ad aprirsi perché si vergogna del suo vissuto, trovare qualcuno che non ha paura di ascoltarlo e che non giudica, qualsiasi cosa egli dica, è un forte incentivo. Questo non significa non tendere ai valori e non far fare un percorso alle persone, ma suppone una diversità di atteggiamento, anche perché il percorso lo si può fare con una persona precisa che si ha davanti, con i suoi tempi e con la sua capacità di interiorizzare i valori.

E’ importante, per l’animatore, domandarsi quale Dio si è incontrato. E’ un Dio misericordia, un Dio giudice, un Dio lontano, un Dio che gratifica…? Perché è questa, poi, l’immagine di Dio che si assume e si passa all’altro.
 

 2.     Per aprire il proprio spazio interiore occorre  chiarire gli obiettivi

 Ø       Quale rapporto con l’altro:

-         Gratuità nel momento in cui c’è un forte impegno verso di sé e verso l’altro, nel rispetto del cammino dell’altro verso i valori evangelici della sequela. E’ un cammino di libertà, in cui il rispetto dell’altro per quello che è e del piano di Dio su di lui viene prima di tutto.

In questa situazione un significativo punto di verifica è la capacità di  saper affrontare le persone e , pur con delicatezza, saper anche correggere o evidenziare punti che hanno bisogno di crescere, nella consapevolezza che talune posizioni possono suscitare rabbia o impopolarità

Fa parte del cammino di gratuità e libertà interiore la crescita nell’acquisizione che il confronto con la “diversità” (con chi ha carattere, storia, cultura, linguaggio, spiritualità, vedute... diverse dalla propria) non è sfida alla difesa, quasi fosse una minaccia, quanto una ricchezza ed una occasione di crescita e di apertura dei propri orizzonti umani e spirituali.

Questo significa vincere la paura iniziale di potersi sentire inadeguati o rischiare di sentirsi inferiori dove c’é l’inedito, il non programmato o pianificato...  anche nella persona da accompagnare.                  

Però possono coesistere anche altri atteggiamenti:

-     Manipolazione quando  anche il servizio all’altro viene “usato” per sostenere l’immagine di sé. Si tratta del cosiddetto “narcisismo” cioè del forte bisogno di essere continuamente rivolti a se stessi e all’immagine di sé da sostenere, bisogno che porta ad una chiusura verso l’altro e verso la relazione autentica.

Vi sono alcune caratteristiche del narcisismo:

- il bisogno di nutrire e sostenere la stima di sé attraverso l’attenzione e l’affetto degli altri in una inquieta ricerca di gratificazione e di riconoscimento da parte degli altri.

- manipolazione delle relazioni e delle persone anche attraverso un’apparenza brillante e simpatica. Chi ha il cuore centrato su di sé è una persona tristemente sola che non riesce a creare relazioni profonde per la sua tendenza ad attirare le persone a sé per sfruttarle e per la difficoltà che trova nella condivisione di sentimenti autentici di gioia, di tristezza, di dolore.

- il cuore contratto spinge alla competizione ed alle gelosie perché la persona deve essere sempre al centro di tutto e di tutti. Di conseguenza la persona narcisista sta male se non ha la continua approvazione.

-    quindi è sempre alla ricerca di relazioni gratificanti in uno svolgersi di incontri che non vanno nel profondo.

-    Freddezza e distacco emotivo.  E’ lo stare con le persone e nella realtà senza un coinvolgimento emotivo in un autocontrollo che assume le dimensioni della glacialità. In questa situazione si diventa impenetrabili e impermeabili alle realtà di dolore e di gioia che ci circondano, si diventa incapaci di esprimere gesti di affetto

-    Seduzione.  Attirare l’altro a sé come fonte di gratificazione affettiva , cioè per sentirsi amati . E’ possibile fare un servizio di accompagnamento cercando nell’altro affetto, cioè per colmare un vuoto che si sente dentro. In questo caso si può risultare caldi e gradevoli, ma, in realtà, è, poi, difficile, che il cammino della persona si armonizzi, perché, dovendo l’accompagnatore apparire sempre gratificante, avrà difficoltà ad intervenire, talvolta, anche facendo riflettere la persona e non dandole sempre ragione. E così, anche l’approccio ai valori sarà strumentale.

 -  Dominazione  che  si traduce nel dare affetto per dominare , quasi un patto sottile tra l’accompagnatore e l’accompagnato: “Io ti do affetto, sono fonte di gratificazione affettiva e tu stai sottomesso a me”.

Anche in questo caso il punto di partenza non è il bene del giovane ma è la ricerca dell’educatore. In questa situazione si può verificare anche una chiusura della persona verso altri tipi di rapporto perché quello con il formatore è fonte di gratificazione. Si realizza un accentramento che impedisce al giovane di camminare perché è profondamente legato.

Un autentico cammino di discernimento deve partire dallo stesso discernimento che l’educatore fa su di sé per smascherare le proprie dinamiche di possesso e di autocentratura per arrivare ad un cammino di libertà che favorisce la libertà dell’altro.

 Ø       Quale rapporto con il piano di Dio:

-         Povertà.   Il servizio dell’accompagnamento vocazionale presuppone un cammino spirituale profondo in cui la percezione di sé avviene all’interno della relazione con Dio.

Per questo chi compie questo ministero è consapevole che collabora al piano di Dio e che questa collaborazione lo porta ad avere presente la Parola di Dio, ad interiorizzarla, a farla propria.

La persona, libera dalle cose materiali e da se stessa, libera dai propri bisogni, non dipendente da essi e quindi capace di uno sguardo che va al di là di se stessa, diventa capace di donarsi, di investire i propri doni nel servizio ai fratelli.

Tanto la liberazione materiali dai beni che si possiedono, quanto la liberazione personale dalle qualità individuali generano la disponibilità umana a beneficio della Chiesa e dei fratelli.

La persona si sente incitata a passare dall’autopossesso all’autodonazione.

Un rapporto maturo con se stessi crea precisamente la disponibilità  verso il prossimo per accettare  l'uguaglianza fondamentale di ogni essere umano, che è quello di essere figlio di Dio.

In questo itinerario di  libertà, si diventa, così, veramente “poveri” nel senso biblico, cioè soggetti che non si appoggiano su se stessi, ma sul Signore, in opposizione al ricco, che è colui che si appoggia su se stesso, sulle sue possibilità materiali, sull’astuzia o sui suoi meriti di fronte a Dio.

La dimensione della povertà all’interno della paternità/maternità spirituale diventa anche capacità di confronto e di verifica continua  del proprio ministero, rifuggendo la spinta all’<<onnipotenza>>. E’ necessario avere sempre davanti il bene autentico della persona nel contesto ampio della sua vita.

La sicurezza umana viene perfezionata dalla grazia e dalla fiducia nella Provvidenza.

Ed anche  l’umile accettazione della propria indigenza creaturale porta a scoprire con serenità che Dio è la sicurezza.

Le diverse crisi, preoccupazioni, affanni per le vicende quotidiane, superate convenientemente hanno la funzione di far scoprire finalmente e con gioia che “ il Padre sa quello di cui avete bisogno..”

Da qui nasce anche la dimensione dell’abbandono e dello stupore.

-   Stupore di fronte al mistero di Dio e della persona.    La persona che percorre questo itinerario di maturazione diventa capace di prendere coscienza della sua dignità e di promuoverla in ogni creatura umana.

Dare dignità, del resto, genera capacità di autostima, cioè la possibilità di dare a se stessi una valutazione realistica, sostanzialmente positiva e stabile ( una stima basata sull’avere e sul successo, normalmente svaluta ed induce senso di colpa ed inferiorità )
 

Una preghiera per l'accompagnatore


Compagno di viaggio

Mi chiami, Signore, a partecipare il dono

della tua compassione: essere compagno di viaggio,

farmi accanto a tuoi figli nel cammino della  sequela.

Mi sento contento e trepidante,

ma forte della tua chiamata, della tua fiducia,

del tuo amore che vuole traboccare e farsi offerta.

Concedimi, Signore, l’autentica povertà

di chi si mette a tua disposizione nella stupita consapevolezza

di essere uno strumento nelle tue mani.

Custodiscimi, Signore, nella gioia di servirti nei fratelli

che si accostano a me nella ricerca di te.

Donami, Signore, l’apertura del cuore

che testimoni  il tuo “grande cuore”,

spalancato, lacerato dall’amare.

Lavorami, Signore, nel distacco da me,

nella delicatezza e rispetto verso la tua presenza

e il tuo mistero che prende forma nel cammino del fratello.

Plasmami, Signore, istante per istante, un cuore puro

che sa donarsi senza possedere,

che sa ritirarsi al momento opportuno,

che non si sostituisce all’altro,

credendo profondamente nelle risorse altrui.

Infondimi, Signore, l’umile commozione

nella scoperta dei germogli di grazia che tu semini nei cuori,

piccoli segni, talora nascosti, di risalita e rinascita

che chiedono di essere custoditi e incoraggiati.

Dammi, Signore, il silenzio e il tempo della custodia

a imitazione di Tua Madre che “meditava nel suo cuore

tutti gli avvenimenti del suo figlio”.

Rendi, Signore, i miei occhi  limpidi e penetranti

che  sanno scorgere, anche al di là di un sorriso,

il grido silenzioso o la fatica inconfessata.

Donami, Signore, la tenerezza che accoglie ,

che riscalda, che rassicura,

la forza che dice fedeltà ad un amore più grande.

Tenerezza e forza:

le tue mani, Signore, di madre e di padre!

Modellami, Signore, soprattutto nella dimensione interiore

della gratitudine per la tua misericordia

che si esprima in uno sguardo

ripieno di amore e di compassione!

Ti chiedo, allora, Signore, un amore appassionato per te,

affinché i miei occhi, anche quando fossero pesanti

per la preoccupazione o la stanchezza,

possano brillare e lasciar trasparire il tuo  volto.

Ti prego, Signore, per tutte le persone che mi sono affidate:

possano gustare sempre

la dolcezza della tua amicizia alla quale sono chiamate

e vivere in quella armonia per la quale tu le hai create!

Dona, Signore, anche a me, la fedele esperienza

di sentirmi accompagnato

e l’umile disponibilità a lasciarmi guidare,

perché solo in questa sfida di affidamento di sé

e di accoglienza del fratello

passa il grande mistero della fiducia:

in te, Signore, in me, nell’altro...

E la vita, la tua vita, ha una nuova possibilità di fiorire!

P.B.  P.O.R.A.

  

Notizie nostre

SESSANTESIMO
DI ORDINAZIONE SACERDOTALE

 Il nostro Convitto Ecclesiastico di Genova, da sempre in  salita delle Fieschine, è in centro città, ma in zona leggermente appartata e tranquilla con qualche spazio verde e lontana dal traffico rumoroso.

Ed è un mondo un po’ a sé, tutto speciale per il genere di Ospiti, per il ritmo di vita, di interessi, di preghiera e per il movimento di persone che in vario modo frequentano la Casa.

Noi Suore della PORA siamo sempre presenti, ma con noi collaborano Oblate della PORA, volontari, personale a turni e amicizie che si prestano nei modi più svariati: dalle partite a carte, alle uscite in macchina. Gradita è la visita settimanale dei seminaristi e quella dei Cavalieri di Malta; molto utili il servizio al centralino telefonico e al guardaroba.

Ogni tanto qui si festeggia una data particolare di onomastico, di compleanno o di vita sacerdotale.

Da sottolineare con speciale attenzione sono gli anniversari di Ordinazione Sacerdotale perché il passare degli anni ne aumenta l’importanza.

Quest’anno ben cinque Sacerdoti ospiti festeggiano il 60° di Sacerdozio con fierezza e impegno.

                                                                                                                       Le Suore

Il giorno giovedì 15 maggio noi Sacerdoti Ordinati nel 1943 abbiamo ricordato al Santuario della Guardia, il sessantesimo del nostro ministero sacerdotale, assieme all’Ecc.mo Arcivescovo.

Eravamo partiti in ventitre il 16 aprile 1943; siamo arrivati al sessantennio in dieci, cinque dei quali abbiamo trovato ospitalità e assistenza presso il Convitto Ecclesiastico.
Scopo della nostra presenza  al Santuario: suffragare i nostri Confratelli già arrivati al premio eterno; per noi chiedere alla S.Vergine continua e materna protezione fino al compimento del nostro ministero Sacerdotale.

Grazie Santa Vergine. Grazie Convitto Ecclesiastico.

                                                                                         Don Rinaldo Boccardo

 

 

ESTATE A PERLETTO - CN

Incontro di riflessione e preghiera

per Familiari del Clero

24 – 27 giugno


Esercizi Spirituali per Sacerdoti

18 – 22 agosto  

Predicati da Mons. Guido Oliveri


Corso di aggiornamento

1 settembre (pomeriggio) -5 settembre (mattina)

"L’accompagnamento spirituale :

luogo di crescita umana alla luce dello Spirito"

Moderatore: P.Paolo Orlandini dei Servi di Maria

in collaborazione con l’Edi.S.I. Istituto Edith Stein

PROGRAMMA

LUNEDI’ 1 settembre – pomeriggio

"La vita nello Spirito: accogliere il Dono nel quotidiano"

Don Guido Marini - docente di Diritto Canonico nella Facoltà Teologica

dell'Italia Settentrionale - Genova

MARTEDI’ 2 settembre

"La bellezza della persona come armonia tra l’umano e lo spirituale"

Suor Paola Barenco, P.O.R.A. - Formatrice, Pedagogista

                                                                                            

MERCOLEDI’ 3 settembre

"Lo spirito è pronto ma la carne è debole":

blocchi umani alla crescita dello spirito

P.Paolo Orlandini - Formatore

GIOVEDI’ 4 settembre

"Linee metodologiche nell’accompagnamento"

Dott. Sergio Brocchiero – Psicologo

 

VENERDI’ 5 settembre – mattina

"L’ascesi dell’accompagnatore" 

Dott. Grazia Maria Costa - Medico

Membro dell'Ist.Secolare Mater Misericordiae Genova


ESERCIZI SPIRITUALI GIOVANI

12 - 14 settembre

con Don Guido Marini