S.E. Mons.
Tarcisio bertone
Omelia alla
S.Messa per le Ordinazioni Diaconali
Genova - Cattedrale, 11 maggio 2003
PROFILO DEL DIACONO
PREMESSA
Questa celebrazione è veramente un kairòs, per la
straordinaria coincidenza di tre eventi che gettano luce su di essa:
la IV domenica di Pasqua, dedicata a Gesù Buon Pastore, la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e la Giornata
della Famiglia, che la diocesi suggerisce di festeggiare oggi,
perché cresca la testimonianza della comunione e della familiarità
in ogni nostra comunità cristiana, piccola Chiesa e Famiglia dei
figli di Dio.
I tre
avvenimenti ci aiutano a tracciare il profilo del diacono, secondo
l’esperienza della Chiesa e le indicazioni della Parola di Dio.
Egli è un
chiamato da Dio ad essere Ministro della preghiera, della parola e della
carità. In questo senso siamo tutti
invitati a pregare il Signore perché effonda su Germano, Rosario,
Lorenzo e Vincenzo il dono dello Spirito
Santo per consacrarli e abilitarli alla missione apostolica che è
loro affidata dalla Chiesa. “Effondi in loro lo Spirito Santo
che li fortifichi con i sette doni della Tua grazia, perché compia
fedelmente l’opera del Ministero”.
1) Anzitutto
il diacono riceve un primo grande compito: quello di impersonare
e prolungare Cristo
orante, quel Cristo che fece della preghiera una occupazione non
secondaria della sua vita terrena, e che spende la sua vita celeste
ad intercedere per la sua Chiesa.
Cristo
è la lode vivente e sostanziale del Padre, il grande religioso di
Dio, l'unico che può dare del Tu al Padre. Ora, Egli continua nella
sua Chiesa la sua missione di lode e di preghiera, per mezzo dei
Ministri della preghiera ufficiale del corpo Mistico.
In
ciò appunto consiste la grandezza inestimabile del nostro
Breviario. Per mezzo di esso noi siamo la bocca del Cristo orante
nella sua Chiesa. Siamo Cristo che prega. Siamo la lingua del Corpo
Mistico. Dobbiamo celebrare il nostro breviario sempre “in
persona Christi ‑ in persona Ecclesiae”, cioè in nome, per
incarico, con i sentimenti e le intenzioni di Gesù e della sua
Sposa. Se sapessimo quanto siamo grandi e potenti nell'ora del
nostro Breviario! Noi possediamo la più grande forza di rivoluzione
che un uomo può avere; possiamo imprimere un nuovo corso alla storia
dell'umanità.
Pensiamo alla
preghiera apostolica e missionaria di S. Teresa di Gesù Bambino.
Pensiamo alla preghiera di Madre Teresa di Calcutta. Racconta Mons.
Angelo Comastri, Arcivescovo di Loreto: «La prima volta che
incontrai Madre Teresa fui colpito dal suo sguardo: mi guardò con
due occhi limpidi e penetranti. Poi mi chiese: “Quante ore preghi al
giorno?”. Rimasi sorpreso da una simile domanda e provai a
difendermi dicendo: “Madre, da lei mi aspettavo un richiamo alla
carità, un invito ad amare di più i poveri. Perché mi chiede quante
ore prego?”. Madre Teresa mi prese le mani e le strinse tra le sue
quasi per trasmettermi ciò che aveva nel cuore; poi mi confidò:
“Figlio mio, senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i
poveri! Ricordati: io sono soltanto una povera donna che prega.
Pregando, Dio mi mette il suo amore nel cuore e così posso amare i
poveri. Pregando!”
2) Il secondo
compito del diacono è di essere Ministro della Parola. E’ difficile
impersonare Cristo Maestro, ma soprattutto
ripresentare al mondo, ai giovani di oggi, Cristo, Maestro buono
(come lo ha chiamato il giovane del Vangelo).
Già
Paolo VI diceva che ci sono tanti maestri; ma i giovani hanno
bisogno più di testimoni che di maestri. E durante il recente
Congresso Catechistico Internazionale si è molto insistito sulla
dimensione spirituale e testimoniale della vita dei catechisti
(quanto più dei diaconi!). Un rappresentante della Colombia ha
esattamente denunciato la frattura che esiste tra annuncio e vita:
questa dolorosa constatazione ci impone un maggior impegno di
coerenza tra il dire e il fare, tra la Parola e la testimonianza. Il
diacono non detta il suo significato in quello che dice, o in come
si veste (da oggi i nuovi diaconi potranno portare la stola) ma in quello che è: servo della Parola, servo della Verità che
salva, e perciò servo di Cristo.
3) In terzo
luogo il diacono riceve il compito di essere Ministro della carità.
Il
diacono è uno che dice si all’amore, perché esso soltanto,
proprio con il suo rischio della sofferenza e della perdita di sé,
porta l’uomo a se stesso e lo rende ciò che egli deve essere.
Penso che questo sia il vero dramma della storia, cioè che essa
nella molteplicità dei fronti, gli uni contrapposti agli altri, è
riconducibile alla formula: si o no all’amore. E Dio
che cosa vuole veramente da noi? Che diventiamo persone che amano
cioè che realizziamo la nostra somiglianza con Lui. Poiché, come
dice S. Giovanni, Egli è l’Amore e desidera che ci siano
creature a Lui simili, che, scegliendo liberamente di amare diventino come Lui, Gli appartengano e diffondano così il suo
splendore! (Card. Joseph Ratzinger).
I
nostri quattro diaconi sono giunti al primo grado del Sacerdozio
Ministeriale che comprende anche il secondo grado che
raggiungeranno poi col Presbiterato.
Il
sacerdozio ministeriale, nel disegno di Cristo, non è espressione di
dominio, ma di servizio. Chi lo interpretasse come
"dominio", sarebbe certamente lontano dall'intenzione di Cristo, che
nel Cenacolo iniziò l'Ultima Cena lavando i piedi agli Apostoli. In
questo modo pose fortemente in rilievo il carattere "ministeriale"
del sacerdozio istituito quella sera stessa. "Il Figlio dell'uomo
infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45).
Sì,
il sacerdozio della Chiesa cattolica è un sacerdozio
ministeriale! Serviamo il Popolo di Dio! Serviamo la sua missione!
Questo nostro sacerdozio deve garantire la partecipazione di tutti,
uomini e donne, alla triplice missione profetica, sacerdotale e
regale di Cristo. E non solo il sacramento dell'Ordine è
ministeriale: ministeriale è prima di tutto la stessa Eucaristia.
Affermando: "Questo è il mio Corpo che è dato per voi (...)
Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato
per voi" (Lc 22, 19.20), il Cristo rivela il suo
sacerdozio più grande: il servizio della Redenzione, in cui
l'unigenito ed eterno Figlio di Dio diventa Servo dell'uomo nel senso più pieno e profondo.
Accanto a Cristo-Servo, non possiamo dimenticare Colei che è "
la Serva”, Maria. San Luca ci informa che, nel
momento decisivo dell'Annunciazione, la Vergine pronunciò il suo
"fiat" dicendo: "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1 )38 ).
Il rapporto del sacerdote verso la donna come madre e sorella si
arricchisce, grazie alla tradizione mariana, di un altro
aspetto: quello del servizio ad imitazione di Maria serva. Se il
sacerdozio è per sua natura ministeriale, occorre viverlo in unione
con la Madre, che è serva del Signore. Allora, il nostro
sacerdozio sarà custodito nelle sue mani, anzi nel suo cuore, e
potremo aprirlo a tutti. Sarà in tal modo fecondo e salvifico, in
ogni sua dimensione.
Don Claudio Doglio
FILIPPO BATTEZZA UN ETIOPE
(At 8,26-40)
L’episodio in
cui è protagonista Filippo riguarda un caso singolare di
evangelizzazione, perché riguarda il battesimo di un etiope, uno
assolutamente estraneo al popolo d’Israele, anche se simpatizzante
del giudaismo. Questo eunuco, cioè alto ministro della regina
Candace di Etiopia è venuto a Gerusalemme per il culto, ha fatto un
bel viaggio, è accompagnato da un corteo perché è un diplomatico di
alto rango ed è venuto a Gerusalemme perché è devoto di Yahveh,
evidentemente, anche se straniero, si è avvicinato al popolo ebraico
e ha voluto fare il pellegrinaggio a Gerusalemme e sta studiando la
Bibbia, sta leggendo per suo conto gli antichi profeti e non li
capisce.
Luca concentra
in questa pagina un bellissimo esempio di catechesi biblica ed è un
primo spiraglio di apertura ai lontani, ai molto lontani. Il
racconto è pieno di particolari simbolici, molto interessanti, ma
quello che domina l’intelaiatura del racconto è il tema del cammino.
Sappiamo che l’evangelista Luca ama mostrare il Cristo in cammino,
il suo vangelo è incentrato sul viaggio di Gesù verso Gerusalemme.
Luca scrive le sue opere per dire alla sua gente: dobbiamo
rimetterci in cammino con il Cristo, pensate ai discepoli di Emmaus,
partivano tristi, il Cristo si è messo a camminare con loro, gli ha
spiegato le Scritture, ha fatto ardere il loro cuore, lo hanno
riconosciuto nello spezzare del pane, nell’eucaristia, e a quel
punto, pieni di gioia, sono tornati indietro, hanno ricuperato
l’entusiasmo, la voglia di annunciare. Il racconto dei discepoli di
Emmaus è strutturato da Luca nello stesso modo con cui adesso
struttura il racconto dell’incontro di Filippo con l’etiope e
aggiunge molti particolari di tipo soprannaturale che non devono
presi alla lettera, ma devono essere intesi come un ripensamento
posteriore di eventi che hanno aperto delle prospettive nuove alla
Chiesa. Noi diremmo: Filippo «per caso» incontrò quel corteo di
etiopi. Invece Luca, ripensandoci, dice: se si è trovato su quella
strada non fu per caso; come mai era andato a finire su quella
strada desertica che non portava da nessuna parte, visto che Filippo
non voleva andare lontano?
26Un
angelo del Signore parlò intanto a Filippo: «Alzati, e va’ verso il
mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è
deserta».
L’imperativo
iniziale è già simbolico: «alzati e cammina», sembra l’imperativo di
Gesù ad un paralitico, è la parola che ha detto Pietro al paralitico
della Porta Bella: «non ho né oro né argento, quello che ho te lo
do, nel nome di Gesù alzati e cammina». Anche a Filippo,
l’evangelizzatore viene detto: alzati e cammina.
27Egli
si alzò e si mise in cammino,
è Filippo che
accetta di alzarsi dalla sua situazione, di muoversi dal suo
atteggiamento statico per mettersi in cammino, è il cammino di
formazione di Filippo, è il superamento di se stesso che permette a
Filippo di incontrare questo straniero; se Filippo fosse stato fermo
e seduto in Gerusalemme non lo avrebbe incontrato.
Quand’ecco un
Etiope, un eunuco, funzionario di Candàce, regina di Etiopia,
sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a
Gerusalemme, 28se ne ritornava, seduto sul suo carro da
viaggio, leggendo il profeta Isaia.
Notiamo la
differenza dell’atteggiamento dei due personaggi: Filippo cammina,
l’etiope è seduto.
29Disse
allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti, e raggiungi quel carro».
30Filippo corse innanzi
non è una
semplice descrizione di un episodio di cronaca, ma è un bozzetto di
teologia ecclesiale; lo Spirito dice al ministro della Chiesa: «Va’ avanti, e raggiungi quel carro»,
va’ avanti, corri in
avanti per raggiungere quello straniero, per raggiungere quella
persona che è fuori dai tuoi schemi. È lo Spirito che dice a
Filippo: non aspettare che venga da te, corri tu.
udito che
leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai
leggendo?».
Gli antichi
avevano l’abitudine di leggere ad alta voce e quindi Filippo riesce
ad intuire che cosa sta leggendo e la domanda è un po’ impertinente,
però serve per permettere la risposta.
31Quegli
rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?».
Qui Luca
intende dire: non si può capire la Bibbia, se non nell’ottica di
Gesù Cristo, se non c’è la formazione cristiana, cioè se Gesù Cristo
non ti illumina per poterla intendere nel modo corretto. Non è
Filippo che istruisce l’etiope, è il Cristo che, mediante Filippo,
illumina l’etiope.
Stava leggendo
un passo di Isaia al capitolo 53. Si tratta del quarto canto del
servo di Dio, il servo sofferente; è un brano che nella nostra
liturgia viene proclamato il venerdì santo.
E invitò
Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32Il passo
della Scrittura che stava leggendo era questo: “Come una pecora fu
condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo
tosa, così egli non apre la sua bocca. 33Nella sua
umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi
potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua
vita” (Is 53,7-8). 34E rivoltosi a Filippo l’eunuco
disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se
stesso o di qualcun altro?».
Chi è questo
tizio, ecco la domanda dell’etiope, chi scrive di chi parla? Sta
parlando di sé o parla di qualcun altro? Ecco le due
interpretazioni possibili: l’autore antico pensava solo a se stesso,
quindi è un fatto antico o era una profezia che riguardava il
futuro? L’episodio di Filippo e dell’etiope è fondamentale nella
struttura degli Atti per mostrare come la Chiesa rilegge in modo
nuovo i testi dell’Antico Testamento. E qui abbiamo
l’esemplificazione completa della lettura cristologica di questi
testi; il canto del servo di Yahveh la comunità primitiva lo leggeva
come una profezia della passione di Gesù Cristo. Le autorità di
Gerusalemme non potevano tollerare una cosa del genere. Filippo
diventa un evangelista, un annunciatore della buona notizia, cioè
uno che spiega il senso delle Scritture.
35Filippo,
prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli
annunziò la buona novella di Gesù.
Gli annuncia
il vangelo partendo dalla lettura dell’Antico Testamento.
36Proseguendo
lungo la strada,
i due uomini
hanno fatto un po’ di cammino insieme e in questo cammino insieme
arrivano al punto dove i discepoli di Emmaus avevano detto: «fermati
con noi».
giunsero a un
luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: «Ecco qui c’è acqua; che
cosa mi impedisce di essere battezzato?».
Consultando
una Bibbia, vediamo che il versetto 37 non c’è, è indicato e
saltato, ma in realtà esiste, esamineremo il problema.
E Filippo
disse: «Se credi con tutto il cuore, è possibile». 37Rispose
allora l’eunuco: «Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio».
Abbiano
l’occasione di dire che il testo antico degli Atti degli Apostoli è
stato trasmesso in due forme diverse: una testimoniata dalla
grandissima maggioranza dei codici antichi e un altro testo
testimoniato da un codice siglato con la lettera D e chiamato «testo
occidentale». Questo testo occidentale ha molti particolari in più,
ha molti versetti in più degli altri. Da sempre gli studiosi
discutono se questi particolari aggiunti siano autentici o delle
glosse, cioè dei particolari che un copista devoto ha aggiunto
liberamente. Oggi si è favorevoli a ritenere che i versetti della
tradizione occidentale siano antichi e appartengano ad una redazione
lucana.
Probabilmente
gli Atti degli Apostoli hanno avuto due redazioni, una prima e una
seconda e queste due diverse redazioni sono state diffuse in modo
indipendente per cui abbiamo dei codici che testimoniano gli Atti
degli Apostoli nella prima e altri nella seconda. Questo versetto
37, che appartiene solo alla versione occidentale, era un versetto
carissimo alla volgata perché è una professione di fede battesimale:
l’eunuco dice: «Credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio»; può
essere battezzato, perché, da buon catecumeno, fa la sua professione
di fede. Così il versetto 37 è entrato nelle Bibbie, anche se in
molti casi viene riportato solo in nota. A me piace conservarlo e
inserirlo nel testo!
38Fece
fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e
l’eunuco
camminarono
insieme tutti e due e tutti e due discesero nell’acqua. Oltre alla
simbologia del cammino aggiungiamo la simbologia del discendere
nell’acqua, il segno della morte di Cristo. Filippo scende con
l’etiope e Filippo battezzò l’etiope.
L’evento
sacramentale compie il cammino animato dalla parola, i discepoli di
Emmaus, dopo aver camminato con il Cristo risorto celebrano con lui
l’eucaristia, Filippo dopo aver camminato con l’etiope celebra con
lui il battesimo.
Subito dopo i
discepoli di Emmaus non videro più Gesù,
39Quando
furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e
l’eunuco non lo vide più
nel momento in
cui l’evento sacramentale è avvenuto, il ministro sparisce e Filippo
non diventa padrone della vita dell’eunuco, non continua il cammino
con lui, è lo Spirito del Signore che rapì Filippo, ma quell’etiope
proseguì pieno
di gioia il suo cammino.
Notiamo la
formulazione perfettamente lucana. Proseguì il suo cammino, cioè
continuò la sua vita in una dinamica di crescita, ma questa volta è
pieno di gioia, avendo accolto il Cristo con cuore retto l’etiope è
contento, non sembra neanche più seduto, sembra che cammini in piedi
adesso, che stia in piedi sul suo carro di ritorno.
Ecco, allora,
che entrare nella propria interiorità significa esplorare alcuni
ambiti che influiscono in maniera significativa nel porsi dinanzi a
se stessi e all’altro. E’ attraverso un approfondimento di quello
che siamo che è possibile arrivare ad una maturità di relazione che
non significa assenza di problematiche e di conflitti e non
significa neanche guarigione da tutte le immaturità. La maturità,
infatti, trova un fondamento importante nel saper conoscere e
gestire le proprie fragilità orientandole ad un progetto di
esistenza in favore di sé e dell’altro. E’ nella misura in cui si
prende consapevolezza di quello che ci “muove” che è possibile
essere in grado di orientarlo verso dei valori autentici. E'
importante, ad esempio, rendersi conto se si fa un servizio di
ascolto, di carità, di animazione per gratificare noi stessi o per
servire; quanto c’è di “bisogno di potere”, di “successo” ed il
bisogno di donarsi agli altri orientato al valore del servizio
evangelico.
Più si vive in
profondità e si è capaci di guardare con onestà se stessi, più si
diventa in grado di essere attenti all’altro in un amore disponibile
ad incontrare l’altro col cuore e non solo nella superficie.
Guardare in profondità permette di andare al di là del negativo che
può apparire per cogliere le positività. Oltrepassare l’apparenza
porta a stupirsi dei doni di sé e dell’altro.
Le emozioni
sono una parte importante del nostro mondo interiore e rappresentano
quello che proviamo nei diversi momenti della nostra vita, davanti
alla varietà dell'esistenza. Sono come la risonanza dentro di noi di
tutti gli avvenimenti che ci circondano e ci colpiscono. Sono,
quindi, una spia del nostro modo di essere presenti nel mondo e in
relazione con gli altri e ci indicano cosa in noi, in certi momenti
o in particolari situazioni, ha avuto più impatto e di quale tipo
esso sia stato.
Le emozioni
non sono mai casuali, ma sono sempre legate al nostro vissuto
passato o futuro.
Quando
derivano dal nostro passato, nascono in noi perché la situazione
presente che stiamo vivendo suscita delle sensazioni che abbiamo già
vissuto precedentemente, magari in un contesto simile, e che hanno
lasciato una traccia dentro di noi, anche se non ce ne siamo mai
resi conto.
A volte, ad
esempio, proviamo una forte simpatia per una persona che quasi non
conosciamo e non riusciamo a comprenderne il motivo. Se ci
riflettiamo bene è probabile che possiamo notare in lei qualche
caratteristica o modo di fare che ci ricorda qualcuno che nel
passato ci ha voluto bene ed è stato effettivamente importante. Così
come quando proviamo antipatia o avversione, insofferenza…
Quando ci si
trova con un giovane che si rivolge a noi per un discernimento o
accompagnamento si può provare tenerezza, affetto o anche, in taluni
momenti, rabbia.
E’ necessario
prendere contatto con tali emozioni affinché non siano esse a
guidare l’incontro con la persona e il discernimento stesso.
Le emozioni
legate al futuro dipendono, invece, dalle nostre aspettative e dalle
nostre preoccupazioni per quello che immaginiamo dovrà accaderci.
L'emozione che
noi proviamo è collegata al tipo di lettura che noi facciamo della
realtà e può portarci a dare un peso diverso a ciò che ci circonda.
Per esempio, se siamo in collera con una persona, saremo portati a
dare un peso maggiore a tutte le sue azioni nei nostri confronti,
sottolineando soprattutto ciò che non approviamo, e magari
leggendolo come un attacco verso di noi.
L'emozione non
è né buona né cattiva, perché il sentire è un'esperienza comune in
ogni uomo.
Le emozioni
sono ciò che dà gusto e colore alla nostra vita e impediscono che
tutto ci scorra sotto gli occhi con indifferenza.
Esse sono,
dunque, una fonte di ricchezza e, proprio per questo, man mano che
cresciamo, diventano sempre più numerose e sfumate.
E' importante
sottolineare, però, che sono un'esperienza soggettiva, che ci porta
a leggere il mondo con le nostre proporzioni, spesso dettate dai
diversi tasti che dentro di noi la realtà esterna ha messo in moto.
L’affettività
costituisce un aspetto rilevante della persona, perché, nell’armonia
con la razionalità permette l’approccio alla realtà.
Essa è la
capacità di provare sentimenti, emozioni, sensazioni e contiene in
sé una forza notevole che dà tonalità e slancio alla vita. L’aspetto
affettivo è quello che conferisce colore e calore all’esistenza. Se
provassimo ad immaginare la vita senza emozioni ci apparirebbe
grigia. Così come aspetti anche caratteristici della vita consacrata
possono apparirci più stimolanti con l’apporto affettivo: la
preghiera, un ritiro, la vita comunitaria, il lavoro…
Anche
l’interesse stesso che ci muove verso le cose presenta una sintesi
tra dato razionale (“mi interessa perché è importante”) e dato
affettivo (“mi piace, suscita in me emozioni piacevoli, mi rende
felice”).
L’affettività,
naturalmente, è da conoscere come forza che può stimolare la
crescita della persona nel rapporto con se stessa e con gli altri,
ma va anche gestita in quanto i rapporti non possono andare
esclusivamente dietro la spinta emotiva altrimenti si rischierebbe
di creare relazioni troppo cariche affettivamente, nella difficoltà,
quindi, di contenerle.
La gestione
dell’affettività può essere vissuta in armonia con un progetto di
vita, perché da questo riceve una sua fisionomia e significato
particolare. E’ di notevole importanza, per i consacrati,
armonizzare la gestione dell’affettività con la forma di esistenza
che hanno scelto.
E’ necessaria
una seria conoscenza di sé e dei bisogni che sottostanno ai propri
movimenti affettivi. Di fatto le relazioni di dipendenza, servizio,
aiuto agli altri, di guida…possono essere mossi da libertà, ossia da
un reale uscire da sé per andare verso l’altro gratuitamente oppure,
inconsciamente possono essere mossi da insicurezza e da un bisogno
di dipendere dagli altri, dalle gratificazioni affettive,
dall’approvazione altrui, dal bisogno di gestire qualcuno o qualcosa
perché manca quella sana autostima e accettazione di sé con i propri
lati forti e più deboli, che permette di stare in piedi da soli e di
porsi per quello che si è.
- La
conoscenza e la gestione dell’affettività deve tenere presente
l’integrazione della sessualità come modalità specifica di
esprimersi in quanto uomini e donne. Una persona che non sta bene
con la sua sessualità con problemi di ansia o problemi non risolti
nell’ambito della sessualità farà fatica ad intessere delle
relazioni profonde. Una persona che vive problematiche di questo
tipo talvolta si immunizza ritirandosi nel proprio ruolo definito e
vive con disagio quando nell’apostolato si presentano situazioni o
incontri nuovi, inediti, non previsti che portano al di fuori del
ruolo. Quindi, in questo caso, anche in una situazione di
accoglienza dell’interiorità dell’altro, è necessario tenere
presente questo fattore. Un giovane, quando viene da noi, ci parla
anche della sua sessualità. Per fare realmente spazio dentro occorre
essere coscienti dei problemi che ci si porta dentro per non
confondere i propri con quelli del giovane e quindi non poter essere
di reale aiuto.
In questo caso
non è detto che, se si fa un servizio di accompagnamento o
discernimento, tutti i problemi devono essere risolti, ma,
certamente è necessario prenderli in mano nella consapevolezza che
nel momento in cui si è davanti ad una persona essi possono
riemergere in atteggiamenti di distacco, rigidità o di eccessivo
coinvolgimento.
- Nella
direzione della maturazione affettiva si colloca l’attenzione alla
capacità e all’esperienza di solitudine.
Nell’accoglienza del vissuto delle persone ci si misura anche con la
propria capacità di portare tali vissuti, spesso da soli. Le
risonanze che si possono trovare dentro possono essere spunto per un
ulteriore lavoro su di sé domandandosi: “ Perché provo questo?” “ Da
dove viene?” .
-
Gratuità
nel
momento in cui c’è un forte impegno verso di sé e verso l’altro, nel
rispetto del cammino dell’altro verso i valori evangelici della
sequela. E’ un cammino di libertà, in cui il rispetto dell’altro per
quello che è e del piano di Dio su di lui viene prima di tutto.
Però possono
coesistere anche altri atteggiamenti:
-
Manipolazione quando anche il servizio all’altro viene
“usato” per sostenere l’immagine di sé. Si tratta del cosiddetto
“narcisismo” cioè del forte bisogno di essere continuamente rivolti
a se stessi e all’immagine di sé da sostenere, bisogno che porta ad
una chiusura verso l’altro e verso la relazione autentica.
Vi sono alcune
caratteristiche del narcisismo:
- il bisogno
di nutrire e sostenere la stima di sé attraverso l’attenzione e
l’affetto degli altri in una inquieta ricerca di gratificazione e di
riconoscimento da parte degli altri.
-
manipolazione delle relazioni e delle persone anche attraverso
un’apparenza brillante e simpatica. Chi ha il cuore centrato su di
sé è una persona tristemente sola che non riesce a creare relazioni
profonde per la sua tendenza ad attirare le persone a sé per
sfruttarle e per la difficoltà che trova nella condivisione di
sentimenti autentici di gioia, di tristezza, di dolore.
- il cuore
contratto spinge alla competizione ed alle gelosie perché la persona
deve essere sempre al centro di tutto e di tutti. Di conseguenza la
persona narcisista sta male se non ha la continua approvazione.
-
quindi
è sempre alla ricerca di relazioni gratificanti in uno svolgersi di
incontri che non vanno nel profondo.
La persona, libera dalle cose materiali e da se stessa, libera dai
propri bisogni, non dipendente da essi e quindi capace di uno
sguardo che va al di là di se stessa, diventa capace di donarsi, di
investire i propri doni nel servizio ai fratelli.
Tanto la liberazione materiali dai beni che si possiedono, quanto la
liberazione personale dalle qualità individuali generano la
disponibilità umana a beneficio della Chiesa e dei fratelli.
La persona si sente incitata a passare dall’autopossesso all’autodonazione.
Un rapporto maturo con se stessi crea precisamente la disponibilità
verso il prossimo per accettare l'uguaglianza fondamentale di ogni
essere umano, che è quello di essere figlio di Dio.
In questo itinerario di libertà, si diventa, così, veramente
“poveri” nel senso biblico, cioè soggetti che non si appoggiano su
se stessi, ma sul Signore, in opposizione al ricco, che è colui che
si appoggia su se stesso, sulle sue possibilità materiali,
sull’astuzia o sui suoi meriti di fronte a Dio.
La dimensione della povertà all’interno della paternità/maternità
spirituale diventa anche capacità di confronto e di verifica
continua del proprio ministero, rifuggendo la spinta
all’<<onnipotenza>>. E’ necessario avere sempre davanti il bene
autentico della persona nel contesto ampio della sua vita.
La sicurezza umana viene perfezionata dalla grazia e dalla fiducia
nella Provvidenza.
Ed anche l’umile accettazione della propria indigenza creaturale
porta a scoprire con serenità che Dio è la sicurezza.
Le diverse crisi, preoccupazioni, affanni per le vicende quotidiane,
superate convenientemente hanno la funzione di far scoprire
finalmente e con gioia che “ il Padre sa quello di cui avete
bisogno..”
Da qui nasce anche la dimensione dell’abbandono e dello stupore.
-
Stupore di
fronte al mistero di Dio e della persona.
La persona che percorre questo itinerario di maturazione diventa
capace di prendere coscienza della sua dignità e di promuoverla in
ogni creatura umana.
Dare dignità, del resto, genera capacità di autostima, cioè la
possibilità di dare a se stessi una valutazione realistica,
sostanzialmente positiva e stabile ( una stima basata sull’avere e
sul successo, normalmente svaluta ed induce senso di colpa ed
inferiorità )
Una preghiera
per l'accompagnatore
Compagno di viaggio
Mi chiami, Signore, a partecipare il dono
della tua compassione: essere compagno di viaggio,
farmi accanto a tuoi figli nel cammino della sequela.
Mi sento contento e trepidante,
ma forte della tua chiamata, della tua fiducia,
del tuo amore che vuole traboccare e farsi offerta.
Concedimi, Signore, l’autentica povertà
di chi si mette a tua disposizione nella stupita consapevolezza
di essere uno strumento nelle tue mani.
Custodiscimi, Signore, nella gioia di servirti nei fratelli
che si accostano a me nella ricerca di te.
Donami, Signore, l’apertura del cuore
che testimoni il tuo “grande cuore”,
spalancato, lacerato dall’amare.
Lavorami, Signore, nel distacco da me,
nella delicatezza e rispetto verso la tua presenza
e il tuo mistero che prende forma nel cammino del fratello.
Plasmami, Signore, istante per istante, un cuore puro
che sa donarsi senza possedere,
che sa ritirarsi al momento opportuno,
che non si sostituisce all’altro,
credendo profondamente nelle risorse altrui.
Infondimi, Signore, l’umile commozione
nella scoperta dei germogli di grazia che tu semini nei cuori,
piccoli segni, talora nascosti, di risalita e rinascita
che chiedono di essere custoditi e incoraggiati.
Dammi, Signore, il silenzio e il tempo della custodia
a imitazione di Tua Madre che “meditava nel suo cuore
tutti gli avvenimenti del suo figlio”.
Rendi, Signore, i miei occhi limpidi e penetranti
che sanno scorgere, anche al di là di un sorriso,
il grido silenzioso o la fatica inconfessata.
Donami, Signore, la tenerezza che accoglie ,
che riscalda, che rassicura,
la forza che dice fedeltà ad un amore più grande.
Tenerezza e forza:
le tue mani, Signore, di madre e di padre!
Modellami, Signore, soprattutto nella dimensione interiore
della gratitudine per la tua misericordia
che si esprima in uno sguardo
ripieno di amore e di compassione!
Ti chiedo, allora, Signore, un amore appassionato per te,
affinché i miei occhi, anche quando fossero pesanti
per la preoccupazione o la stanchezza,
possano brillare e lasciar trasparire il tuo volto.
Ti prego, Signore, per tutte le persone che mi sono affidate:
possano gustare sempre
la dolcezza della tua amicizia alla quale sono chiamate
e vivere in quella armonia per la quale tu le hai create!
Dona, Signore, anche a me, la fedele esperienza
di sentirmi accompagnato
e l’umile disponibilità a lasciarmi guidare,
perché solo in questa sfida di affidamento di sé
e di accoglienza del fratello
passa il grande mistero della fiducia:
in te, Signore, in me, nell’altro...
E la vita, la tua vita, ha una nuova possibilità di fiorire!
P.B.
P.O.R.A.
Notizie nostre
SESSANTESIMO
DI ORDINAZIONE SACERDOTALE
Il
nostro Convitto Ecclesiastico di Genova, da sempre in salita delle
Fieschine, è in centro città, ma in zona leggermente appartata e
tranquilla con qualche spazio verde e lontana dal traffico rumoroso.
Ed è un mondo
un po’ a sé, tutto speciale per il genere di Ospiti, per il ritmo di
vita, di interessi, di preghiera e per il movimento di persone che
in vario modo frequentano la Casa.
Noi Suore
della PORA siamo sempre presenti, ma con noi collaborano Oblate
della PORA, volontari, personale a turni e amicizie che si prestano
nei modi più svariati: dalle partite a carte, alle uscite in
macchina. Gradita è la visita settimanale dei seminaristi e quella
dei Cavalieri di Malta; molto utili il servizio al centralino
telefonico e al guardaroba.
Ogni tanto qui
si festeggia una data particolare di onomastico, di compleanno o di
vita sacerdotale.
Da
sottolineare con speciale attenzione sono gli anniversari di
Ordinazione Sacerdotale perché il passare degli anni ne aumenta
l’importanza.
Quest’anno ben
cinque Sacerdoti ospiti festeggiano il 60° di Sacerdozio con
fierezza e impegno.
Le Suore
Il giorno
giovedì 15 maggio noi Sacerdoti Ordinati nel 1943 abbiamo ricordato
al Santuario della Guardia, il sessantesimo del nostro ministero
sacerdotale, assieme all’Ecc.mo Arcivescovo.
Eravamo
partiti in ventitre il 16 aprile 1943; siamo arrivati al
sessantennio in dieci, cinque dei quali abbiamo trovato ospitalità e
assistenza presso il Convitto Ecclesiastico.
Scopo della nostra presenza al Santuario: suffragare i nostri
Confratelli già arrivati al premio eterno; per noi chiedere alla
S.Vergine continua e materna protezione fino al compimento del
nostro ministero Sacerdotale.
Grazie Santa
Vergine. Grazie Convitto Ecclesiastico.
Don Rinaldo Boccardo
ESTATE A PERLETTO - CN
Incontro di riflessione e preghiera
per Familiari del Clero
24 – 27 giugno
Esercizi Spirituali per Sacerdoti
18 – 22 agosto
Predicati da Mons. Guido Oliveri
Corso di aggiornamento
1
settembre
(pomeriggio) -5 settembre
(mattina)
"L’accompagnamento spirituale :
luogo di crescita umana alla luce dello Spirito"
Moderatore:
P.Paolo Orlandini dei Servi di Maria
in collaborazione con l’Edi.S.I. Istituto Edith Stein
PROGRAMMA
LUNEDI’ 1 settembre
–
pomeriggio
"La vita nello Spirito: accogliere il Dono nel quotidiano"
Don Guido Marini
-
docente di Diritto Canonico nella Facoltà Teologica
dell'Italia Settentrionale - Genova
MARTEDI’ 2 settembre
"La bellezza della persona come armonia tra l’umano e lo spirituale"
Suor Paola Barenco,
P.O.R.A. - Formatrice, Pedagogista
MERCOLEDI’ 3 settembre
"Lo spirito è pronto ma la carne è debole":
blocchi umani alla crescita dello spirito
P.Paolo Orlandini -
Formatore
GIOVEDI’ 4 settembre
"Linee metodologiche nell’accompagnamento"
Dott. Sergio Brocchiero –
Psicologo
VENERDI’ 5 settembre
–
mattina
"L’ascesi dell’accompagnatore"
Dott. Grazia Maria Costa
- Medico
Membro dell'Ist.Secolare Mater Misericordiae Genova
ESERCIZI SPIRITUALI GIOVANI
12 - 14 settembre
con Don Guido Marini
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