La nostra vita di preghiera
(di Don Guido
Marini)
La nostra identità
Parlare della
"nostra" vita di preghiera significa parlare anzitutto della nostra
identità. La preghiera, infatti, ha caratteristiche comuni in ogni
forma e stato di vita cristiana. Però ha anche alcuni elementi
tipici, espressivi di una particolare forma della sequela del
Signore. In questo senso è giusto parlare della "nostra" vita di
preghiera: questa è "nostra" perché si radica nella nostra identità
di persone consacrate. E, dunque, avrà delle caratteristiche
tipiche: caratteristiche che scaturiscono, appunto, dalla nostra
identità consacrata.
Proviamo a
esprimere quanto fin qui affermato, con l’aiuto di due santi.
Entrambi ci parlano della preghiera. Ma ce ne parlano in modo
diverso. La lettura dei due seguenti brani ci mette di fronte a
questa diversità.
Il primo brano è
di San Francesco di Sales: "La preghiera è un contatto di
persone, un guardarsi nascosto, segreto. Un conversare segreto da
cuore a cuore, con una comunicazione che non può essere partecipata
se non da coloro che la fanno".
Ascoltiamo, ora,
il secondo brano. "Essere sposa – scriveva Elisabetta della
Trinità – è avere gli occhi nei suoi occhi, il pensiero dominato
da lui, il cuore completamente preso, tutto invaso, come se vivesse
al di fuori di sé e fosse passato in Lui, l’anima nella sua anima,
piena della sua preghiera, tutto l’essere impregnato e offerto. E’
fissarlo sempre con lo sguardo per sorprendere il Suo minimo cenno e
il Suo minimo desiderio. E’ entrare in tutta la Sua gioia,
condividere tutta la Sua tristezza. E’ essere feconda, essere
corredentrice, generare le anime alla grazia…".
Risulta chiara la
differenza. Mentre la prima affermazione riguardo alla preghiera si
addice a ogni cristiano, la seconda si addice in modo del tutto
particolare a quei cristiani che sono stati chiamati a seguire
Cristo più da vicino. Questa, allora, è la tipicità della preghiera
che sgorga dal cuore della persona consacrata: Cristo deve bastare!
La preghiera della persona consacrata dice e grida la totalità di un
cuore che è solo ed esclusivamente di Dio.
Alla luce di
quanto abbiamo finora affermato – e cioè che la preghiera è "nostra"
perché è espressione di una particolare identità – dobbiamo dire
qualche cosa circa la nostra identità. Ecco i tratti
qualificanti, tratti a cui sempre ritornare per ritrovare anche lo
stile e i contenuti della propria preghiera.
La religiosa
della PORA, come ogni altra religiosa, è chiamata a seguire Cristo
più da vicino nel segno della sponsalità. Questa sequela nel segno
della sponsalità si rivolge a Gesù in quanto povero, casto e
obbediente: la religiosa, di conseguenza, vive la sponsalità di
amore con Gesù, il vero e perfetto religioso, il vero e perfetto
povero, casto e obbediente. Gli elementi qui indicati non sono
ancora sufficienti a esprimere compiutamente l’identità della
religiosa. Perché la religiosa è chiamata a vivere tutto questo
nella forma della vita fraterna in comune. E per finire un ultimo
elemento, tipico del carisma della PORA. L’elemento del servizio
integrale ai sacerdoti. Parlo, non a caso, di servizio integrale. In
quanto ciò di cui hanno bisogno i sacerdoti, ciò a cui le religiose
della PORA sono chiamate a rispondere, non è solo la necessità di
ordine materiale e fisico, ma anche la necessità di ordine morale e
spirituale e, perché no, anche di ordine apostolico e pastorale.
Sarebbe riduttivo pensare il servizio ai sacerdoti diversamente
rispetto a questa integralità.
La nostra preghiera
Se quella appena
descritta è la nostra identità di persone consacrate nella vita
religiosa e secondo il carisma tipico della PORA, quale deve e
essere la nostra preghiera? Vediamone i tratti fondamentali.
La nostra è una
preghiera che esprime l’unità del cuore intorno all’unico amore
di Cristo. Lo abbiamo già inteso, ascoltando la pagina di suor
Elisabetta della Trinità: la preghiera della religiosa è una
preghiera che afferma, con la parola e con lo stile, che il cuore
della persona è tutto e solo del Signore. In questo senso si pongono
tre grandi questioni.
Anzitutto la
questione del tempo. Quando accampiamo il motivo della
mancanza di tempo per giustificare la poca preghiera o, peggio,
l’assenza della preghiera dalle nostre giornate, in verità diciamo
una cosa non vera. La mancanza di tempo, in realtà, ci pone di
fronte a qualcosa di più profondo: perché dove manca il tempo manca
l’amore. E’ pensabile che due persone che si vogliono bene e che si
amano non trovino il tempo per ritrovarsi, vedersi parlarsi?
Lasceranno altre cose, ma il tempo dell’jncontro lo troveranno
sempre. Così il tempo che diamo al Signore nella preghiera, la
quantità del tempo che diamo alla preghiera altro non è che
l’espressione di un cuore che è tutto di Dio. Allora non è possibile
che il tempo da noi dedicato alla preghiera sia uguale o inferiore a
quello che gli altri cristiani dedicano alla preghiera. Dove sarebbe
la specificità di una preghiera che esprime la passione di un cuore
tutto di Dio?
Una seconda
questione è quella dell’intensità. Abbiamo parlato della
quantità del pregare. Ma c’è anche una qualità del pregare che
distingue la persona consacrata. Per qualità intendo lo stile di una
preghiera nella quale scende in campo tutta la persona con le
componenti che la rendono tale: l’intelligenza, la volontà, il
cuore, i sentimenti, gli affetti, le emozioni…Nulla di ciò che siamo
come persone, nulla di ciò che siete come donne, può rimanere fuori
dalla preghiera. Guai se questa fosse solo questione di
intelligenza. Ma guai anche se la preghiera fosse solo questione di
cuore e di emotività. La preghiera della persona consacrata deve
essere espressione di tutte le componenti che animano la
personalità.
Un’ultima
questione è quella del primato. A livello teorico ne siamo
convinti, ma spesso nella pratica smentiamo quanto affermiamo con le
parole. Credo che si debba operare una difesa "orgogliosa" della
propria preghiera nell’arco della giornata. Ci dobbiamo ribellare al
fatto che impegni, opere, necessità più o meno urgenti ci strappino
alla preghiera. Ci dobbiamo ribellare, perché questo significa
essere depauperati della dimensione sponsale della propria vita. Ma
se viene meno questa, non veniamo meno noi stessi e il senso della
nostra vita? Primato, dunque, significa anche difendere con tutte le
forze lo spazio di Dio nell’arco della giornata. Lo ripeto:
significa difenderlo con orgoglio, perché è lo spazio con il quale
affermo la mia sponsalità.
La nostra è una
preghiera che trova espressione qualificata nella coralità.
Quando parliamo di coralità intendiamo quella forma di preghiera
nella quale si mostra la dimensione comunitaria della vita
religiosa. Si fa vita fraterna, infatti, non solo nel vivere insieme
e nell’operare insieme, ma anche nel pregare insieme.
E’ chiaro che il
momento più qualificante della coralità orante è la preghiera
liturgica. Da non considerare come un peso, né come un dovere da
assolvere, né come un impegno cui sottrarsi se possibile. Ma da
considerare come momento qualificante il mio essere religiosa e il
mio pregare da religiosa. In altre parole, la preghiera liturgica
manifesta ciò che si è. Mi attardo solo un momento su un aspetto
particolare della preghiera comune liturgica. Penso allo stile che
ciascuno di noi pretende di imporre agli altri quando prega. Questo
non soltanto rende meno corale la preghiera da un punto di vista
estetico. Quel che più conta è che questo atteggiamento contraddice
esattamente lo stile comune e fraterno della preghiera fatta
insieme. Non è segno di fraternità saper rinunciare a qualche cosa,
a un proprio punto di vista, per essere meglio una cosa sola davanti
a Dio?
Accanto alla
preghiera liturgica non si possono dimenticare anche gli altri
momenti di preghiera, non liturgica ma sempre comune. Anche
questi momenti sono da vivere con gioia e non con peso. Sempre per
lo stesso motivo: sono momenti in cui non solo esprimo la mia
identità di religiosa, ma anche momenti in cui la mia preghiera vive
la sua propria verità di preghiera tipica della persona consacrata e
chiamata a vivere in comune anche il momento della preghiera. E’
chiaro che la preghiera è sempre personale, cioè dialogo di amore a
tu per tu con il Signore. Ma c’è differenza tra chi cerca e ama la
solitudine come spazio irrinunciabile del proprio incontro con il
Signore e chi vive solitario, creandosi spazi di autonomia, quasi
che la comunità costituisse un fastidio e un inciampo.
La nostra è una
preghiera che porta nel cuore i sacerdoti. Può capitare che
anche in una comunità religiosa che ha il carisma tipico di essere
al servizio dei sacerdoti si finisca a volte per parlare dei
sacerdoti, operare per i sacerdoti, ma di non pregare per i
sacerdoti. E questa sarebbe un’eventualità molto triste. E invece
sappiano che questa è una, anzi la forma privilegiata di servizio
che siamo chiamati a rendere ai sacerdoti. Pregare per i sacerdoti
vuol dire pregare per loro in generale. Pregare per i sacerdoti vuol
dire portare davanti al Signore casi particolari di cui si conosce
il momento di fatica e di sofferenza. Pregare per i sacerdoti
significa essere sostegno davanti a Dio nel momento delle loro
fatiche apostoliche. Pregare per i sacerdoti vuol dire pregare
perché la loro missione possa produrre i frutti più grandi per il
bene del Regno di Dio.
Aggiungo che è
solo a partire da una preghiera assidua, sentita, vissuta che questa
stessa preghiera tende a diventare offerta di sé. E questo deve
essere proprio lo sbocco della nostra preghiera: pregare a tal punto
e con tale intensità da percepire che quasi non basta più pregare e
bisogna offrirsi per il bene dei sacerdoti, anche con penitenza e
sacrificio. Che bella la penitenza offerta al Signore da una
religiosa per il bene dei sacerdoti! Non è una vera e propria
dimostrazione di maternità spirituale, così tipica della vita
consacrata?
Preghiera nostra?
Giustamente
abbiamo parlato della nostra preghiera. La preghiera è, appunto, una
slancio del nostro cuore che desidera intrattenersi con il Signore.
Ma c’è un aspetto da non dimenticare mai, quando parliamo di
preghiera: ed è l’aspetto della preghiera che lo Spirito del Signore
fa dentro di noi. La preghiera è sempre frutto di questo duplice
movimento: il nostro verso Dio e di Dio verso di noi. E’ un aspetto
molto bello e consolante della realtà della preghiera. Infatti viene
a ricordarci, soprattutto nei momenti di fatica, di aridità e di
incapacità a pregare, che è il Signore stesso a pregare in noi, con
noi e per noi. Si tratta di ritornare sempre all’interno del nostro
cuore per ritrovare la meravigliosa sorgente della nostra preghiera
e a questa sorgente attingere con abbondanza. Ripensiamo alla
bellissima immagine usata da Sant’Ignazio di Antiochia. Parla di una
sorgente d’acqua viva che mormora nel cuore dell’uomo. Che cosa è
questa sorgente di acqua viva se non lo Spirito che abita e opera
dentro di noi?
Quanto affermato
ci suggerisce uno dei motivi per cui è importante che la nostra
giornata, come tutta intera la vita, conosca il raccoglimento e il
silenzio. Certo, vi sono anche altre motivazioni. Ma tra queste vi è
certamente quella per cui è solo nel silenzio e nel raccoglimento
che ci è possibile ascoltare la voce dello Spirito e con questa voce
mettersi in sintonia: così che sia lui a pregare in noi. E quando
parlo di raccoglimento e di silenzio ne parlo come di uno stile
personale, certo; ma anche come di uno stile comunitario, uno stile
che la comunità deve essere capace di offrire a ogni suo membro.
Una vita di preghiera
Tenendo presente
il titolo della nostra riflessione è giusto affermare che la
preghiera è vita e che, di conseguenza, è chiamata a espandersi in
tutta la vita. La preghiera deve diventare vita e la vita deve
diventare preghiera. In che senso? Vediamo tre ambiti diversi in cui
questo può e deve realizzarsi.
Un primo ambito:
la preghiera e l’impegno dell’apostolato. Ascoltiamo una
pagina di Charles de Foucauld: "Forse, non faccio mai così bene
orazione, quanto nelle lunghe e stressanti giornate passate in mezzo
a questa brava gente che mi assedia, che mi succhia alla lettera.
Vedere Gesù in ogni essere umano. Come è reale il Cristo, come è
terribilmente reale, quando si presenta sotto le specie di uno dei
nostri fratelli infelici! Come è bello venire al soccorso di Gesù,
quando ce lo domanda uno di quelli per cui Egli è morto! Allora,
passare la giornata a curare la carne stessa di Gesù, è diventare
contemplativi". Per il de Foucauld la preghiera si era propagata in
tutta la vita, perché tutto era occasione di incontro, di sevizio,
di dialogo con il Signore. Ma come questo gli è stato possibile?
Perché quest’uomo passava ore e ore in adorazione. E’ solo la
custodia della "nostra" preghiera che rende possibile la
propagazione della preghiera in tutta la vita.
Un secondo
ambito: la preghiera e l’azione incandescente di carità.
Ascoltiamo quanto ha lasciato scritto un umile frate carmelitano
addetto alla cucina nel suo convento: "Non è necessario avere grandi
cose da fare, io rivolto le frittate nella padella per amore di Dio.
Quando sono pronte, se non ho altro da fare, mi prostro per terra e
adoro il mio Dio che mi ha dato la grazia di prepararle, dopo di che
io mi alzo più contento di un re. Quando non posso fare latro, mi
basta aver sollevato una pagliuzza da terra per amore di Dio" (Fra’
Lorenzo della Risurrezione). Le nostre opere, i nostri gesti,
anche più piccoli, hanno peso davanti a Dio nella misura in cui sono
animati dall’amore. I nostri comportamenti quotidiani hanno valore
nella misura in cui sono incandescenti di carità. Ma questo è
possibile nella misura in cui custodiamo con fedeltà la "nostra"
preghiera.
Un terzo e ultimo
ambito: la preghiera e la volontà di Dio. Ascoltiamo: "Amo
tutto quello che lui fa" (Santa Teresa di Gesù Bambino). E
ancora: "O Dio, nelle dispute che si scatenano in fondo a me, sii tu
sempre la mia maggioranza" (Emmanuel Mounier). Come fare
perché la vita intera diventi preghiera? Vivendo tutto, proprio
tutto nella volontà di Dio; accogliendo tutto, proprio tutto dalla
mano di Dio e come una sua chiamata. Allora la nostra vita diventa
risposta d’amore al Signore che chiama e, dunque, preghiera.
Parlando della
preghiera come di una vita sottolineo ancora un duplice aspetto. Se
la preghiera è una vita allora questa vita deve crescere.
Guai se ci accontentassimo di come preghiamo oggi. C’è un cammino da
percorrere. Come viviamo la Messa? Come recitiamo la liturgia delle
Ore? Come facciamo meditazione? Come diciamo il Rosario? Le domande
potrebbero continuare. Se mi ritrovo oggi così come ero ieri non è
un buon segno di vitalità interiore. Domani dovrò essere cresciuto
nel mio modo di pregare.
Infine, se la
preghiera è una vita, allora questa vita deve essere curata e
custodita. E’ preziosissima, ma è anche fragile. Basta poco per
smarrire lungo il cammino questo tesoro inestimabile che è la
preghiera. La mancanza di cura a volte porta all’abbandono, quasi
senza che ce ne accorgiamo. Un giorno prego meno, l’altro giorno di
nuovo e così via. Fino a perdere l’amore per la preghiera, fino a
non pregare più. Ma questa sarebbe la nostra morte.
Concludo con
un’affermazione di Evagrio il Pontico: "Dio dà la preghiera a colui
che prega" Ecco la risposta alle nostre domande circa come fare a
pregare, a imparare a pregare, a migliorare nella preghiera.
INAUGURAZIONE DELLA
CASA DEL CLERO DI LA SPEZIA
dopo la
ristrutturazione
Finalmente la Casa del Clero ( Casa di Loreto) di La Spezia è stata
inaugurata nella sua ritrovata bellezza, funzionalità e soprattutto
accoglienza.
L’inaugurazione
ufficiale del 25 ottobre 2002 ha visto la presenza del Vescovo
diocesano Bassano Staffieri che ha dedicato e consacrato l’altare
con la presenza di numerosissimi Sacerdoti anche provenienti da
Genova. Successivamente il 3 novembre, c’è stata la presenza di
tutti gli amici, benefattori, collaboratori della Piccola Opera, e
il 28 novembre la celebrazione col Seminario diocesano… Momenti di
gioia e di comunione che ci aprono a tanta speranza e gratitudine al
Signore per la sua fedeltà.
INGRESSO IN NOVIZIATO
Suor Milena e Suor
Maria Adele alla sequela di Gesù.
Carissimi, vi
confido sinceramente che quando mi è stato proposto di offrirvi una
testimonianza sulla mia vocazione sono stata colta da un certo
timore. Sì, perché parlare della chiamata alla vita consacrata non è
un compito facile: si avverte che ci si trova di fronte ad un grande
DONO e ad un profondo MISTERO, che con le nostre parole umane non
riusciamo ad esprimere adeguatamente.
" Perché il
Signore ha scelto me? Perché proprio io?" sono le domande che tante
volte mi sono posta.
Eppure adesso
riesco a scoprire in tutta la mia vita un sapiente disegno di Amore
di un Dio che è Padre e che da sempre mi ha pensato e amato, per
amore mi ha creato e ha preparato per me un progetto di amore e di
felicità.
Amore e felicità:
due parole fondamentali nella storia di ogni vocazione, che è la
risposta ad una chiamata dell’Amore, fatta per Amore e che conduce
all’Amore e tutto questo è per la nostra felicità, già qui sulla
terra e poi lassù nel cielo..
E’ una promessa
di Gesù: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o
padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento
volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt.19,29).
Non è certo stato
facile ( e non è facile tuttora) lasciare tutto per seguire Gesù, il
TUTTO della nostra vita.
Del resto avevo
già i miei progetti sulla mia vita: ero fidanzata, studiavo
all’Università, desideravo laurearmi, sposarmi e avere tanti figli.
Poi però, a poco
a poco, il Signore mi ha fatto capire che la mia vita non era poi
così mia e che l’avevo ricevuta in dono da Lui e che il minimo che
potessi fare era di ri-offrirgliela e ho sentito dentro di me che il
"futuro" che avevo così bene progettato non avrebbe potuto rendermi
veramente felice e che l’amore di un uomo non avrebbe completamente
appagato il mio cuore. Insomma, solo il Signore avrebbe potuto
rendermi veramente felice e realizzare i miei desideri.
Così, anche se
con fatica, ho lasciato quello che per me era tutto: il mio
fidanzato, i miei studi, la mia famiglia e con loro tutti i miei
progetti e le mie sicurezze.
Inizialmente ho
chiesto di poter fare un’esperienza in un monastero di clausura.
Volevo essere un po’ come S. Teresa di Gesù Bambino: avevo un forte
desiderio di pregare e di offrire tutta la mia vita per i sacerdoti
e i seminaristi, per la loro santificazione.
Col tempo, però,
si è capito che la clausura non era adatta a me, o meglio, che io
non ero adatta per quel tipo di vita. Allora sono uscita, ma, a quel
punto, che fare?
Ancora una volta
dovevo abbandonare i miei progetti, in questo caso, i miei progetti
su come seguire il Signore e fare la sua volontà. Era tutto da
rifare, però…
"Ho sperato, ho
sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato" (Sal.39)
Sì, perché dopo
essere rimasta così spiazzata, mi sono proposta di cercare veramente
il Signore e il Signore davvero mi ha offerto molti aiuti.
Innanzitutto ho
ripreso i contatti con la P.O.R.A., che conoscevo già da alcuni
anni. Ho iniziato un serio cammino di discernimento aiutata da Suor
Paola.
Decisiva è stata
l’estate dell’anno scorso, trascorsa a Perletto. Lì ho avuto molto
tempo per pregare, per mettermi in ascolto del Signore, per
riflettere e conoscere meglio la vita e lo stile delle Suore della
P.O.R.A. e anche per servire concretamente i sacerdoti ospiti della
casa.
Una volta che ho
capito che la clausura non fa per me, allora mi è sembrato tutto
chiaro.
Sempre in un
atteggiamento di ricerca della volontà del Signore, consapevole dei
miei limiti e anche dei miei doni, primo fra questi il forte
desiderio di pregare per i sacerdoti e i seminaristi, ho chiesto di
poter entrare a far parte della Piccola Opera Regina Apostolorum e
di condividere il suo ideale: " Per loro io consacro me stesso".
Dopo essere stata
accolta con grande benevolenza, in particolare dalla Madre Suor
maria Giuseppina, ho iniziato il periodo di postulato il 1 ottobre
2001, proprio nel giorno in cui si festeggia S.Teresa di Gesù
Bambino- e non a caso- come segno di continuità con l’esperienza
precedente, che sicuramente mi è servita e attraverso la quale ho
imparato molte cose.
Dopo un anno di
postulato, il 6 ottobre scorso ho iniziato il periodo formativo del
Noviziato.
Questa data è
stata per me molto significativa: in fatti il 6 ottobre è il giorno
del mio compleanno. In più quest’anno, come 28 anni fa, cadeva
proprio di domenica.
Per me è stato
davvero un nuovo inizio di vita.
Lode a te,
Signore,
per la tua
fedeltà, per la tua grazia!
Signore, ti ringrazio
perché da sempre mi hai pensato e amato
e mi hai chiamata ad amarti e a servirti
nei tuoi sacerdoti.
Insegnami e aiutami a vivere
le tue stesse parole:
"io prego per loro,
per coloro che mi hai dato"
Suor Milena
Il 6 ottobre
scorso ho fatto l’ingresso in Noviziato, tra le Suore della P.O.R.A.
Cosa significa
per me questo? E’ come chiedere ad una giovane innamorata "cosa vuol
dire per te esserti fidanzata con l’uomo che ami?".
Non dico questo
tanto per dire, per fare colpo, ma è la verità.
Questa è una
grande grazia che il Signore mi ha fatto: l’essere chiamata alla
vita consacrata. Il Signore mi ha scelta, non perché fossi migliore,
tutt’ altro, ma perché Lui così ha voluto per un suo disegno
personale su di me al quale io ho risposto il mio SI’. Egli mi ha
voluta nel cuore della Chiesa, tra le Figlie di Maria Regina
Apostolorum a donarmi con amore esclusivo a Lui. La vita religiosa
da la possibilità di seguire Cristo con maggiore libertà e di
imitarlo attraverso la pratica dei consigli evangelici, comuni a
tutte le persone consacrate, ma ogni congregazione ha la sua
specifica vocazione che costituisce il carisma stesso. Noi della
P.O.R.A. siamo chiamate a svolgere il nostro servizio nella chiesa a
favore dei Sacerdoti, attraverso la preghiera, l’offerta quotidiana
e l’aiuto materiale nella consapevolezza di servire in ogni
sacerdote CRISTO SOMMO ED ETERNO SACERDOTE. Sinceramente all’inizio,
parlo di qualche anno fa, e cioè quando ho capito che il Signore mi
chiamava alla vita religiosa, pur avendo compreso la grandezza del
dono, feci molta fatica a dire il mio Sì. Anzi per dire la verità
dissi di SI ma non con la vita. Nel senso che c’era l’intenzione di
fare ciò che Dio aveva stabilito per me, ma la paura era tanta. Era
come fare un salto nel buio senza sapere cosa mi a spettasse, dovevo
lasciare i miei sogni, i miei desideri, le mie abitudini, dovevo
liberarmi da quelle cose che fino a quel momento avevano costituito
la mia vita. Umanamente questo mi spaventava, non me ne sentivo
capace e continuavo a rimandare, finché mi convinsi che Dio mi amava
e di questo ne ero certa e quindi mai mi avrebbe chiamato
all’infelicità; questo mi diede il coraggio di fare i primi passi e
man mano che il tempo passava cresceva sempre più il desiderio di
rispondere con la vita alla chiamata del Signore, di donarmi in modo
totale a Lui.
Non subito ho
capito però dove il Signore mi voleva esattamente, quindi prima di
trovare il posto giusto ho faticato e sofferto e pensavo che non
avendogli detto subito sì il Signore non mi volesse più come sua
sposa. Questa fu la cosa che ancora di più mi fece desiderare la
vita consacrata con la quale davo tutta la mia disponibilità ad
essere tutta e solo di Dio.
Con questo voglio
dire che anche se è solo l’inizio, ora sono entrata ufficialmente
nella vita e nel posto che Dio ha voluto per me ed è stata una meta
veramente desiderata tanto che fino al giorno dell’ingresso ho avuto
paura che succedesse qualcosa che lo avrebbe impedito, quindi fino
all’ultimo non ho voluto illudermi ma ho confidato serena nella
volontà del Signore.
Ora sono felice e
serena anche se la missione alla quale Dio mi ha chiamata non è così
facile.
Questa è la mia
gioia: offrire la mia vita, fin dal mattino, momento per momento,
affinché i sacerdoti siano santi e quindi santificatori.
Per far sì che
l’offerta dia i suoi frutti bisogna che a mia volta diventi santa.
Meta ardua ma non impossibile. Per questo ho affidato tutto il mio
cammino a Maria, perché mi aiuti a rimanere sempre fedele alla
volontà del Signore e docile all’azione dello Spirito Santo. E
sempre con l’aiuto di Maria mi propongo di vivere come programma di
vita, secondo la spiritualità della P.O.R.A., le parole del Maestro
"per loro io consacro me stesso".
Veramente, cosa
posso desiderare di più? Dio mi basta.
Suor Maria Adele
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